White God - Sinfonia per Hagen
“White God – Sinfonia per Hagen” e’ stato presentato da molti come un nuovo rivoluzionario prototipo de “Il Pianeta delle Scimmie”. Ambientato a Budapest, citta’ elevata a microcosmo di valenza simbolica universale, il film prova a sostenere una difficile metafora che sembra sempre quasi pericolare e cadere verso il grande cliché rivoluzionario de “l’unione fa la forza”. Ironia del fatto è che il film non cade mai in quella metafora ma si perde completamente in se stesso.
Nonostante il difficile obiettivo di scampare la banalità di un messaggio già troppo battuto in passato nel cinema e non solo, il film inizia in maniera molto promettente. Il film si ambienta nei meandri delle vie meno battute della capitale ungherese, nascoste dall’ombra della magnificenza dei grandi palazzi che rimandano al glorioso passato della nazione. Questo labirinto si srotola di fronte alla camera creando un’ambientazione molto particolare e ben riuscita nel trasmettere un senso di qualcosa di corrotto e marcio e nascosto dietro la bella facciata.
Hagen diventa presto parte di questo mondo parallelo che Budapest cela all’occhio dei turisti o dei meno attenti. Cacciato da casa dal padre (separato) della padroncina Lili, il cane scopre che la sopravvivenza nell’underground della metropoli è più difficile di ciò che si pensi (allarme banalità). Viene aiutato da un cane randagio a scappare dagli accalappiacani e dagli altri mostri della metropoli prima di essere però catturato da un barbone e venduto ad un ammaestratore di cani da lotta. Quest’ultimo è l’artefice di un cambio di personalità del cane che da buono diventa cattivo (allarme banalità). Vinta la prima lotta di cani Hagen riesce a scappare ma viene catturato dagli accalappiacani e portato in un canile.
Arrivati a questo punto della storia si è già abbondantemente oltre gli 80-90 minuti di proiezione e lo spettatore comincia a domandarsi quando si arrivi a questa tanto attesa metafora della rivoluzione con i cani che si ribellano. Questo è il momento in cui il film ormai al bordo di un precipizio si butta di sotta e rivela una costruzione narrativa assolutamente non all’altezza di un regista con quasi 20 anni di esperienza cinematografica alle spalle e sicuramente non all’altezza dell’interessante paesaggio narrativo costruito nei primi 20-30 minuti del film.
Dunque ancora ben lontani dal climax narrativo si è già oltre l’ora e mezza di film e i personaggi sono stati sviluppati a stento. Di Lili sappiamo che suona la tromba in una band e che ha problemi a relazionarsi con suo padre. Di suo padre sappiamo che è impiegato in un macello e ha un’inspiegato rancore verso Hagen. Del cane sappiamo che era buono ed ora è cattivo.
Una volta scappato dal canile Hagen comincia una carneficina di tutte le persone che sono state cattive verso di lui (allarme banalità): dagli accalappiacani, al barbone, all’addestratore di cani da lotta e così via. Ultima fermata dello sterminio: il papà di Lily. Avendo capito le intenzioni del cane Lily si precipita per salvare suo padre che si é rifugiato al macello brandendo un lanciafiamme. Incontrando Hagen e non riconoscendolo più perchè ora feroce e vendicativo Lily crede ancora nella possibilità di trovare il lato buono del suo cane (allarmissimo banalità).
È ora che il film fa cadere la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso in un finale che è molto peggio di solo un’affrettata e confusa conclusione ma una sequenza che riesce difficile da guardare per quanto è limitante e banale in natura. Niente spoilers ma preparatevi allo sgretolarsi completo di un film che arrivati alle 2 ore, non aveva già da un bel pezzo, più niente da offrire.
La labile metafora proto-pianeta delle scimmie è stata più che dimenticata e il film un totale fallimento.
La frase:
Telegiornale: "Quello che sorprende di piu’ e’ che i cani si stanno comportando come un esercito ben organizzato!".
a cura di Davide Previti
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