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Watchmen
Operazione ambiziosa quella di Zack Snyder, il visionario (ma anche furbo) regista di "300" che si ritrova alle prese con la trasposizione cinematografica di quello che è stato definito dal Times uno dei cento capolavori letterari della lingua inglese. Stiamo parlando di "Watchmen", graphic novel creata da Alan Moore e Dave Gibbons nel lontano 1986, e proprio agli anni Ottanta la loro opera si adattava incastrandosi perfettamente in tutta una serie di rimandi storici e politici dai molteplici significati e dalle innumerevoli suggestioni.
Anni Ottanta. In un presente alternativo Richard Nixon è stato rieletto per la quinta volta presidente degli Stati Uniti e la Russia dispone di un notevole potenziale nucleare. Le due super potenze sono arrivate, quindi, ai ferri corti e si minaccia un terzo conflitto nucleare. In questo contesto caotico, un gruppo di uomini decide di combattere il crimine indossando una identità mascherata.
La storia ha inizio quando uno di questi eroi viene ritrovato morto.
Rorscharch, un uomo celato da una maschera simile ai disegni dell’omonimo test psichiatrico, comincia a indagare...
Zack Snyder ce la mette tutta, e si vede, per rendere giustizia alle figure cartacee nate dalla matita di Dave Gibbons e dalla penna di Alan Moore. Le immagini sul grande schermo sono evocative, pompose, e richiamano suggestioni visive dagli anni Settanta e Ottanta, anche grazie all’uso efficace di costumi e scenografie ad opera rispettivamente di Michael Wilkinson ("Matrix" e "Moulin Rouge") e Alex McDowell ("La sposa cadavere" e "Paura e delirio a Las Vegas"), quasi si trattasse di una operazione nostalgia nei confronti di una realtà alternativa in cui sono esistiti eroi mascherati. Il fumetto, inoltre, viene ricalcato fedelmente: le immagini richiamano da vicino il comic, e persino i dialoghi e i testi sono in alcuni casi gli stessi che si leggono nel fumetto. L’uso frequente di rallenty e scene d’azione spettacolari e violente, infine, contornano un prodotto che sembra la gioia di ogni fan.
Sembra.
In realtà, "Watchmen" è anche costernato di diversi problemi formali. Zack Snyder sembra voler ricalcare il fumetto, ma in verità la sua mano appare malferma e tremolante. Ne esce fuori un mosaico molto simile all’originale, davvero, ma anche drammaticamente spoglio di quella suggestione che caratterizzava le figure che lo componevano. In questa operazione di calcomania, Zack Snyder si ritrova combattuto tra il rimanere legato a un testo bellissimo, ma datato per gli standard attuali (anche considerando i pesanti riferimenti storici presenti nel testo), e l’attualizzare una sceneggiatura e una serie di idee ad essa legate. Gli eroi mascherati del fumetto diventano nel film "super"; le schermaglie e le scene d’azione si tingono di venature splatter, e persino le scene d’amore indugiano sull’aspetto sessuale che non su quello romantico come avveniva nel comic. Cosa è accaduto allora? Semplice, un’opera di grande complessità è stata messa nelle mani dell’uomo sbagliato che ne ha tratto una pellicola che in modo erratico qua re-interpreta e là riscrive. Il risultato è un film noiosetto e difficilmente comprensibile se non si ha letto la già difficile opera originale. Forse, se ci fosse stato un altro regista, magari dello stesso "peso" di Alan Moore, "Watchmen" sarebbe stato interpretato al cinema in modo più coerente. L’alternativa non era Zack Snyder, ma rinunciare in partenza.
La frase: "...Penso che l’esistenza della vita e’ un fenomeno fortemente sopravvalutato...".
Diego Altobelli
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