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Warm Bodies











Come nella gettonatissima saga "Twilight", della quale abbiamo qui gli stessi produttori, il lungometraggio diretto dal Jonathan Levine autore di "Fa la cosa sbagliata" (2008) e "50 e 50" (2011) propone una storia d’amore a sfondo horror tratta dall’omonimo romanzo a firma di Isaac Marion.
Ciò che lo fa principalmente differire dalle romantiche avventure di Edward Cullen e Bella Swan è il fatto che, con ogni probabilità a causa del successo riscosso dai morti viventi televisivi di "The walking dead", al posto dei vampiri abbiamo in qualità di protagonisti gli zombi.
Infatti, la quasi ora e quaranta di visione si svolge in un’era post-apocalittica dove non solo un virus ha provveduto a trasformare i comuni mortali in salme camminanti, costringendo i sopravvissuti a rifugiarsi in ghetti recintati e sorvegliati, ma il giovane mangia-carne umana R alias Nicholas Hoult, che ritiene il suo tenore di vita poco eccitante ed abbastanza monotono, salva Julie, ovvero Teresa Palmer, e la nasconde al resto del branco cannibale.
Con la conseguenza di un sentimento destinato a nascere tra i due, messo in pericolo dall’inarrestabile idea che gli uomini, guidati dal padre di lei, con le fattezze di John Malkovich, hanno di eliminare tutti i cadaveri a passeggio.
Fortunatamente, però, ci troviamo dinanzi a un elaborato decisamente diverso dal franchise nato sulle pagine di Stephenie Meyer; tanto che, soprattutto nel corso della prima parte, volta a descrivere la vita degli infetti, l’impressione è quella di avere davanti un "Benvenuti a Zombieland" (2009) raccontato dal loro punto di vista e accompagnato dalla voce del protagonista fuori campo.
Ma, sebbene Levine, che non risparmia neppure cruenti squartamenti a sangue freddo, non se la giochi troppo sul fattore comico, la parentesi sentimentale, a volte fuori luogo, riesce nell’impresa di essere bilanciata a dovere con l’ironia di fondo sprigionata da determinate situazioni (si pensi alla sequenza del dialogo a due tra zombi).
Mentre l’epilogo, costruito su toni più seri, potrebbe apparire sì retorico, ma essenziale e indispensabile per il pubblico adolescenziale a cui il film è indirizzato... lasciandoci sperare che si tratti soltanto dell’inizio di una nuova serie horror per teen-ager che sembra in grado di offrire molto più della succitata, mediocre "Twilight".

La frase:
"Mi piacerebbe potermi presentare, ma sono morto e non è divertente".

a cura di Mirko Lomuscio

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