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Vergine giurata











Hana (Alba Rohrwacher) perde entrambi i genitori quando è ancora poco più che una bambina. Il rude Gjergi la accoglie in casa dove la cresce insieme alla moglie e alla figlia Lila (Flonja Kodheli) in un paesino arroccato sulle montagne albanesi. Qui vige il Kanun, un rigido codice fondato su tradizioni arcaiche e su una forma di patriarcato che azzera qualsiasi diritto nelle donne e, di fatto, concede all'uomo qualsiasi potere decisionale all'interno della comunità. Questa cultura produce in Lila e Hana due reazioni esattamente opposte: se, infatti, la prima vi si ribella, rifiutandosi di accondiscendere a un matrimonio forzato e scappando in Italia in cerca di una vita migliore, Hana decide di restare anche a costo di rigettare in toto la propria femminilità per poter vivere ed essere percepita come un uomo. Quando, anni dopo, le due donne si ritrovano tutto è cambiato. Lila ha messo su famiglia e si guadagna da vivere facendo la badante, mentre Hana, che nel frattempo è diventata Mark, vive la crisi causata da un'identità che di sicuro ha scelto ma che, una volta fuori dai suoi confini - mentali prima ancora che geografici - sente sempre più stretta. E' un'opera complessa e coraggiosa questo Vergine giurata, opera prima di Laura Bispuri da poco applaudita in concorso (unico film italiano) alla 65ma Berlinale. E' complessa innanzitutto perché, pur prendendo le mosse da una storia piccola, risulta evidente fin da subito come il film abbia in realtà un respiro molto più ampio, quasi universale, rispetto alle forti limitazioni geografiche e linguistiche (il film è quasi tutto recitato in albanese) che l'autrice sembra darsi più per una questione di rigore formale che non narrativo. L'intuizione più felice della Bispuri, in questo senso, è proprio quella di partire da un microcosmo chiuso e fortemente arcaico per dimostrare poi come il processo di produzione di identità lavori più o meno allo stesso modo in qualunque contesto lo si osservi, e di farlo senza indirizzare mai il discorso su istanze dichiaratamente politiche né incanalarsi sui binari del facile femminismo spiccio. Anzi, di Vergine giurata piace proprio il modo di affrontare un argomento spinoso come quello dell'identità di genere senza dilungarsi, come spesso accade, sulle sue accezioni più pruriginose, per concentrarsi invece su angolazioni più intime e, se vogliamo, esistenziali della problematica gender. Il coraggio invece risiede principalmente in una messa in scena rigorosissima e minimale, tutta votata alla sostanza, che asciuga il superfluo al fine di conferire all'opera una dimensione fieramente carnale, fatta di null'altro che corpi e in una regia che, quegli stessi corpi, decide di braccarli, riprendendoli spesso di spalle e amplificando così una sensazione di angustia suggerita già dagli ambienti. Lo stile di Laura Bispuri guarda evidentemente oltralpe e questo è chiaro sia nei richiami al cinema dei Dardenne che in certe vaghe suggestioni à la Von Trier, presenti queste ultime soprattutto in una serie di flashback che, oltre a spiegare la genesi dei personaggi, sono utili a dare movimento a un piano del presente che, a tratti, soffre di un'eccessiva stasi. Detto ciò, un discorso a parte lo merita la gigantesca interpretazione di Alba Rohrwacher, sulle cui fragili spalle grava tutto il portato emotivo del film. La generosità con cui l'attrice italiana forse più richiesta al momento si concede, anima martoriata e corpo smagrito, al progetto è quasi commovente, più o meno come la perizia linguistica con la quale padroneggia un idioma non suo. C'è una mestizia dimessa e silenziosa che alberga nel suo corpo fragile e lo attraversa fino a confluire in questo sguardo spaurito che osserva tutto come se fosse la prima volta, senza però mai poggiarsi veramente sulle persone o sugli oggetti, quasi come per non disturbare. In totale accordo con la regia, la Rohrwacher costruisce la sua Hana tutta di sottrazione e la spoglia (letteralmente) di ogni orpello, evitando in tal modo qualsiasi rischio di effetto "macchietta", sempre dietro l'angolo quando un'attrice si trova a recitare in abiti maschili o viceversa. L'interpretazione maiuscola dell'attrice (siamo ben oltre quanto fatto di recente - e giustamente premiato con la Coppa Volpi a Venezia - per Hungry Hearts di Saverio Costanzo) fa da volano per l'intero film e spinge a soprassedere con estrema tranquillità sulla lentezza di certi passaggi, soprattutto nella parte centrale del film, difetto tutto sommato trascurabile in un'opera prima. Vergine giurata è quindi visione particolarmente consigliata perché approfondisce un argomento come l'identità di genere, spesso citato a sproposito e senza gran cognizione di causa e, più in generale, per la particolarità che lo porta ad essere un film (prevalentemente) italiano con un respiro tutto europeo.

La frase:
- "Perché la sposa ha il viso coperto?"
- "Perché, se non vede la strada, non potrà mai essere capace di tornare indietro".

a cura di Fabio Giusti

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