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Un nemico che ti vuole beneLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Francesco Lomuscio29 settembre 2018Voto: 6.0
Con una piovosa atmosfera notturna, quasi horror, tutto prende il via dal momento in cui il l’astrofisico Enzo Stefanelli, dalle fattezze di Diego Abatantuono, salva la vita ad un giovane ferito da un’arma da fuoco che, incarnato dall’Antonio Folletto di “Capri-Revolution”, si rivela un killer di professione pronto immediatamente a promettergli che troverà e ucciderà un suo nemico, chiunque sia, per ricambiarlo del soccorso prestatogli.
Una drammatica partenza che, con Enzo impegnato a ribadire di continuo che non ha affatto nemici, provvede ad introdurre la necessaria tensione destinata ad espandersi per l’intera oltre ora e mezza di visione, complice il fatto che lui sia l’unico a conoscere la reale attività del ragazzo, nel frattempo intrufolatosi nella sua famiglia. Famiglia comprendente, tra gli altri, il figlio Massimo alias Mirko Trovato, Pietro, ex marito della moglie interpretato da Massimo Ghini, il fratello sacerdote Gregorio e la madre Antonietta, ovvero Roberto Ciufoli e Sandra Milo. Tutti al servizio di un cast decisamente in forma che, comprendente anche Antonio Catania, Ugo Conti e la televisiva Annabella Calabrese, include, inoltre, Paolo Ruffini in un esilarante cameo in abito talare. Perché, a quanto pare derivato da una storia vera raccontata nel 2004 dal maestro del cinema polacco Krysztof Zanussi allo svizzero Denis Rabaglia che, autore di “Azzurro” con Paolo Villaggio, si trova qui dietro la macchina da presa, “Un nemico che ti vuole bene” – proiettato in anteprima presso la prima edizione del Terni Pop Film Fest – si presenta sì come una sorta di thriller, ma abbondantemente infarcito dell’ironia tipica del Diego “eccezzziunale veramente”, figurante anche tra gli sceneggiatori al fianco di Heidrun Schleef, Luca De Benedittis, David McWater e del regista stesso. Un aspetto che, anziché risultare elemento di fastidio o del tutto fuori luogo, finisce inaspettatamente per generare un inedito miscuglio di tipologie di film che potremmo definire in qualità di black comedy, volendo ad ogni costo classificare l’operazione sotto un unico genere. Black comedy di quelle che tanto popolano, da sempre, la Settima arte inglese, ma che non può fare a meno di rivelarsi atipica per l’Italia e a proposito di cui Rabaglia precisa: “Abbiamo voluto rendere il film una sorta di whodunit di Agatha Christie, ma rovesciato, dove lo spettatore si domanda: ma chi sarà il nemico? In questo caso, infatti, non si parte dal cadavere: il colpevole e il delitto sono scoperti dallo spettatore quasi nello stesso istante”. Una black comedy mirata probabilmente a ribadire che l’apparenza inganna e che, caratterizzata da una piuttosto opprimente atmosfera, accompagnata da una elegante regia cattura fin dai titoli di testa l’attenzione dello spettatore, sempre più desideroso di sapere come andrà a finire la vicenda. Ma, piuttosto sgangherato e raccontato in maniera non troppo chiara, è proprio il twist ending ad apparire meno sorprendente del previsto, rischiando di danneggiare il giudizio positivo dedicato al resto dell’insieme. La frase dal film:
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