Un altro Mondo
"Ci sono persone che hanno tutto e che si svegliano troppo tardi rispetto al resto del mondo".
Apre così, a due anni dall’esordio registico "Parlami d’amore" (2008), il secondo lungometraggio diretto da Silvio Muccino ("Come te nessuno mai"), tratto come la pellicola precedente da un romanzo scritto dallo stesso insieme a Carla Vangelista.
Ed è proprio Muccino a vestire i panni del ventottenne Andrea, il quale, mantenuto da una madre algida e anaffettiva con le fattezze di Greta Scacchi ("Presunto innocente"), vive una vita superficiale e priva di responsabilità insieme alla ragazza Livia, interpretata da Isabella Ragonese ("Tutta la vita davanti"); almeno fino al giorno in cui, ricevuta una lettera nella quale il padre che non vede da oltre vent’anni gli chiede di raggiungerlo in Kenya perché prossimo alla morte, parte per Nairobi e scopre di avere un fratellastro, Charlie alias Michael Rainey jr, che l’uomo ha avuto da una donna del posto.
Quindi, mentre Andrea si trova a scegliere tra l’aprire uno spazio dentro di sé per accogliere Charlie o abbandonarlo e tornare in Italia come se niente fosse, è un viaggio fisico e interiore quello che l’attore-regista tenta di incastonare nella celluloide, supportato anche da una nutrita colonna sonora che spazia da "Secret garden" di Bruce Springsteen ad "Hanno ucciso l’uomo ragno" degli 883.
Tenta è il giusto verbo, in quanto, mentre viene ribadito che ci sono persone che non hanno mai detto "Ti amo" perché tanto non serve e che c’è un posto sicuro per nascondere i propri segreti, il risultato finale non sembra riuscire a scaldare il cuore come le premesse lasciavano sperare.
Infatti, sebbene il fratello dell’autore de "L’ultimo bacio" (2001) dimostri di essere leggermente migliorato dietro la macchina da presa, questo "Un altro mondo", a differenza della sua opera d’esordio, infarcita eccessivamente di carne al fuoco, appare quasi privo di elementi atti ad accompagnare in maniera interessante il progressivo evolversi dei circa 110 minuti di visione.
Colpa probabilmente di uno script che finisce per perdersi tra splendidi paesaggi africani e dialoghi che lasciano spesso a desiderare, generando soltanto noia e senza riservare alcuna sorpresa. Oltre a rimanere forse troppo legato alla fonte letteraria di partenza.
La frase: "E’ inutile che continuiamo a far finta di essere una famiglia".
Francesco Lomuscio
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