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Two Mothers











Lil e Roz sono cresciute insieme. Da bambine giocavano per ore sulla spiaggia, e con il passare degli anni la loro amicizia si è trasformata quasi in un vivere in simbiosi, mentre i loro bambini, Ian e Tom, sembrano avere un rapporto che ricalca il loro nell’infanzia; dopo essere rimasta vedova, Lil trova in Roz il suo unico sostegno. Quando i figli sono ormai sul finire dell’adolescenza, le due donne continuano a riempire l’una gli spazi vuoti nella vita dell’altra, tra pomeriggi spesi tra chiacchiere e ricordi in spiaggia e cene in terrazza a cui sono costantemente presenti anche Ian e Tom. L’equilibrio perfetto di questa sorta di grande famiglia viene sconvolto il giorno in cui Tom scopre che sua madre ha passato una notte con Ian. Spinto da un desiderio che si colloca a metà tra sete di vendetta e attrazione, anche lui e Lil inizieranno una relazione. Superati senza troppa difficoltà i primi imbarazzi e i sensi di colpa, le due madri decidono di vivere fino in fondo la felicità che possono ottenere dai due ragazzi.
Due anni dopo aver diretto con successo la commedia "Il mio migliore incubo", Anne Fontaine torna dietro la macchina da presa per girare un dramma. Almeno nelle intenzioni.
Il film è stato girato in Australia, in due case affacciate sul mare, quasi isolate dalla civiltà, che vorrebbero attribuire al film un tono da allegoria (di cosa, non ci è dato di sapere). In questo paradiso terrestre, dipinto come se fosse un luogo astratto ma al contempo uno dei protagonisti della pellicola, prendono vita i personaggi di Anne Fontaine. "Two mothers" cerca il suo punto di forza nella loro indagine psicologica, perseguita tramite moltissimi primi piani e un grande controllo della recitazione, ma si risolve nell’essere un film di corpi. La regista sa molto bene come usare la macchina da presa, sempre fluida nei suoi movimenti, soprattutto quando si tratta di raccontare la passione a livello puramente carnale.
I personaggi delle madri sono descritti in maniera efficace, ma il problema del film, ciò che lo fa affondare, è la loro evoluzione.
Quella che ci viene proposta è psicologia spicciola che ormai non ha più nulla di provocatorio: i personaggi delle due madri, come d’altronde quelli di Ian e Tom, sembrano celare un’omosessualità latente, risolta nel poter amare il figlio dell’altra, la creatura che più le somiglia, alla ricerca dell’amica anche a livello sessuale. E la decisione di vivere e lasciar vivere queste relazioni in totale tranquillità è solo la prima di una serie di improbabili situazioni (uscite a quattro, madri che si ubriacano in allegria con i figli) inframmezzate da dialoghi involontariamente esilaranti in cui il confine tra "fidanzata" e "seconda mamma" non è individuabile.
E la scelta registica di non giudicare mai nessun personaggio, di essere costantemente dalla parte di tutti, ha il solo effetto di rendere il quadretto familiare più inquietante (vedere il finale per credere). Non è nemmeno chiaro l’intento del film: è un invito a superare le convenzioni sociali in nome dell’amore? O un attacco all’ipocrisia dominante? In ogni caso, il messaggio arriva debole e ridicolizzato da situazioni troppo inverosimili e un leggero ma fastidiosissimo sapore di pretenzioso.
Il film, prodotto anche dalla protagonista Naomi Watts, non va oltre l’essere un contenitore fresco, raffinato e molto elegante per una storia che in fondo ha ben poco da dire.

La frase:
"Io non ricordo di essere mai stata così felice".

a cura di Luca Renucci

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