The Motel Life
Il primo con le fattezze dell’Emile Hirsch di “Killer Joe” (2011), il secondo con quelle dello Stephen Dorff di “Somewhere” (2010), i fratelli Frank e Jerry Lee Flannigan vedono cambiare la propria vita nel momento in cui quest’ultimo, in stato di ebbrezza, uccide un giovane in bicicletta.
Parte da questo tragico evento il primo lungometraggio diretto da Alan e Gabe Polsky, produttori de “Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans” (2009) di Werner Herzog, destinato a proseguire con i due, ai quali non è mai andato bene nulla fin da quando erano bambini, costretti a fuggire ed a lasciare il motel in cui avevano vissuto fino ad allora.
E, curiosamente, man mano che entrano in scena anche il veterano Kris Kristofferson e la ormai maggiorenne giovanissima promessa della celluloide hollywoodiana Dakota Fanning, non sono neppure situazioni realizzate a cartoni animati a mancare nel corso dell’oltre ora e mezza di visione; volta a degenerare dopo che Jerry Lee, nonostante i tentativi di rincuorarlo attuati da Frank, comincia ad accusare tendenze suicide.
Perché, in fin dei conti, come c’era da aspettarsi già dalla sola lettura della trama, è soprattutto sul rapporto tra i due fratelli che si sviluppa l’insieme, tempestato di tipiche strade rurali della provincia americana e caratterizzato da uno stile decisamente legato a quello delle pagine scritte.
Del resto, su sceneggiatura di Noah Harpster e Micah Fitzerman-Blue, è da un romanzo di Willy Vlautin che prende origine il tutto, infarcito con non disprezzabili dialoghi che sembrano anche lasciare spazio a un pizzico d’ironia; uno dei quali, quasi in Quentin Tarantino style, arriva addirittura a citare “Citty citty bang bang” (1968) di Ken Hughes.
Precisiamo, però, che, con la lodevolissima prova sfoggiata dal cast a rappresentare il maggiore pregio dell’operazione, ci troviamo dinanzi al classico prodotto da Sundance Film Festival (e simili) che, caratterizzato da un epilogo piuttosto prevedibile, si limita soltanto ad allacciarsi al suo “alternativo” filone d’appartenenza.
Quindi, per chi non ha nelle proprie corde la tipologia di spettacolo su pellicola in questione, il rischio noia potrebbe essere sempre in agguato.
La frase:
"Non prendere decisioni da perdente".
a cura di Francesco Lomuscio
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