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The Majestic
Dopo i fasti de "Le ali della libertà" e "Il miglio verde", per entrambi candidato all'oscar, Frank Darambot torna alla regia di un'altra mega produzione.
Anche questa volta, pensiamo, che non deluderà i suoi numerosi estimatori sparsi per tutto il globo, perché "The Majestic" è un'opera di due ore e mezza colma di buoni sentimenti, di sani valori americani, di bandiere ed inni cantati con la mano sul cuore, di discorsi elegiaci e commoventi, di baci al tramonto e di eroi civili che offrono il petto, impavidi, all'avversa fortuna.
Il tutto naturalmente suggellato da un finale edificante e toccante. Uno di quei finali che fa la fortuna dei produttori di fazzolettini di carta.
Frank Darambot, dirige una sceneggiatura scritta da un suo amico, Michael Sloane, con gli stilemi che gli sono propri. Ha, come anche nelle precedenti esperienze, alle sue dipendenze uno stuolo di attori che farebbero la fortuna di qualsiasi produzione: Jim Carrey, ("Truman Show", "The musk"), Martin Landau ("Ed Wood"), Bob Balaban ("Gosford Park"), e ancora Allen Garfield, Brent Briscoe, Jeffrey DeMunn (attore prediletto da Darambot), Ron rifkin, James Withmore.
Darambot affonda il pennello nei colori dei sentimenti e realizza un affresco grandioso dell'America post bellica. Quel periodo in cui l'amministrazione governativa aveva dato il via ad una vera e propria caccia alle streghe a chi, anche solo lontanamente, fosse in odore di comunismo. La caccia al "rosso" era spietata e senza scampo ed investì in maniera particolarmente virulenta il mondo del cinema. Fra le vittime illustri di questa campagna illiberale si contano personaggi del calibro di John Huston, Joseph Losey, Charlie Chaplin (che dovette andare in esilio ) ed anche il mitico Humprey.
Alle spire della Commissione per le attività antiamericane non sfuggivano neanche i pesci piccoli come Peter Appleton (un non molto convincente Jim Carrey, alle prese con la sua seconda esperienza come attore drammatico), giovane sceneggiatore dalle belle speranze. Peter perde il posto e dopo essersi ubriacato ha un incidente d'auto che gli farà perdere la memoria. Si ritrova, inconsapevole, in una cittadina dove viene scambiato per Luke, un ragazzo partito nove anni prima per il fronte europeo della seconda guerra mondiale e mai più tornato. Peter prende il posto di Luke e ne interpreta gli ideali e le speranze (riaprirà assieme al padre - Martin Landau - il cinema "The Majestic" chiuso dopo l'inizio della guerra) finché non viene rintracciato dagli agenti federali che ne svelano la vera identità, involontariamente nascosta dall'incosciente Peter.
Sulla scia dei due precedenti film, Darambot, rimesta negli argomenti a lui più cari: gli alti ideali di libertà, di onestà, la rivalsa dell'innocente, la fiducia in un futuro di giustizia. Il personaggio di Peter ricorda per genesi ed evoluzione, quello del bancario di "Le ali della libertà", ma in questo film non sempre il sentimento si eleva fino a diventare emozione. Sarà per un eccessivo indugiare su particolari stucchevoli che suonano un pò falsi, sarà per i lenti movimenti della macchina che intorpidiscono le buone idee di cui si vuol parlare, l'impressione che se ne ricava è quella di un eccesso di manierismo emotivo che non trova giustificazione neanche in una delle scene finali, certamente la più esaltante, in cui Peter, interrogato dalla Commissione, svolgerà epicamente il suo discorso alla Nazione.
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