The Hurt Locker
Dopo anni di permanenza in Iraq, un numero sconsiderato di vittime e un conflitto che ha creato mille polemiche, sembra che l’attenzione su quella parte del mondo vada via via scemando. Il film "The Hurt Locker", in concorso alla 65ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ci riporta a quei deserti e quelle località martoriate, per vedere l’uomo oltre il soldato.
La pellicola, diretta dalla regista Kathryn Bigelow ("K-19", "Point Break – Punto di Rottura") è tratta dalle dirette esperienze del giornalista e sceneggiatore Mark Boal, che ha documentato molti dei suoi giorni in Iraq in un reportage da cui si è ispirato anche il regista Paul Haggis per il suo "Nella valle di Elah".
"The Hurt Locker" osserva da vicino un gruppo di soldati americani appartenenti all’unità speciale che si occupa di disinnescare bombe e ordigni esplosivi. Un compito di per se già abbastanza pericoloso, ma che svolto nel bel mezzo di un conflitto diventa una vera partita con la morte.
Dopo la morte del suo predecessore, il sergente William James, (Jeremy Renner, "28 Settimane Dopo", "L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford") prende il comando dell’unità, e subito si fa conoscere dai suoi sottoposti, il sergente JT Sanborn, (Anthony Macie, "8 Mile", "Million Dollar Baby") e lo specialista Owen Eldridge, (Brian Geraghty, "Bobby", "Jarhead"), per il suo fare incosciente, come se ridesse in faccia alla morte ogni volta che se la trova davanti, col rischio però di mettere in pericolo anche i suoi compagni.
La giornata e le occupazioni di questi uomini sono visti in maniera quasi visionaria, in questo film, dove si cerca di avvicinare lo spettatore, il normale civile, ad un punto di vista sulla guerra a lui spesso estraneo. In quest’epoca dove i soldati partono per il fronte per propria decisione, sembra quasi impossibile, infatti, che ci sia qualcuno che ancora è disposto a rischiare così tanto, anche solo per puro e lecito patriottismo. Ma il fatto è che la guerra entra talmente tanto nella mente e nel cuore di questi uomini, che a volte sembra che sia l’unica cosa che sappiano fare. Eppure, come si vede da questo film, i conflitti interiori sono molteplici. Ogni azione violenta rivolta verso un nemico, è una questione di vita o di morte, ma è pur sempre una libera scelta. Riuscire a distinguere tra paura e pericolo reale non è sempre facile, e il rischio di sparare ad un’innocente è elevato. Così come terrorizzante dev’essere disinnescare una bomba col solo ausilio di un paio di pinze, sotto i mirini dei cecchini, e con la consapevolezza che ogni respiro potrebbe ridurre in mille pezzi un soldato. Alla fine si finisce col non pensare e col prendere gli eventi di petto, e sperare solo che vada tutto bene.
La regista descrive molto bene questa sensazione, e sembra quasi che i protagonisti abbiano assunto una dura corazza che li fa apparire di pietra. Ma il lato umano non è andato completamente perduto come si può pensare, al contrario è li pronto ad esplodere da un momento all’altro. Alla fine sembra sia solo l’adrenalina a farli andare avanti, e spesso è proprio la ricerca di quell’adrenalina che li fa tornare al fronte anche dopo finito il periodo di servizio. Come se fosse una necessità.
La pellicola appare molto complessa, e strutturata in modo quasi documentaristico. Non pretende di dare risposte, o di giudicare, ma solo di analizzare o più che altro di osservare a fondo un mondo che sembra sempre più lontano e indecifrabile.

La frase: "Prendila come ti pare…sei in Iraq, sei morto.".

Monica Cabras

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