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La macchia umana
Uno dei paradossi più incredibili è sicuramente che un afroamericano (guai ad usare un termine diverso) ebreo venga accusato di razzismo verso altre persone di colore. Di fatto è ciò che accade a Coleman Silk (Anthony Hopkins / Red Dragon), reo di aver usato il termine "spook" verso alcuni suoi allievi che brillavano per le loro costanti assenze. "Spook" nel senso più aulico, e dotto, del termine significa spirito/fantasma, ma nello slang ha assunto il significato di zulù. Al di la del fatto in se stesso, il motivo del tutto risiede nella vita che Coleman ha deciso di vivere. Una vita all'insegna del segreto e della vergogna poiché, nato con una malformazione genetica, è si figlio di afroamericani, ma anche incredibilmente bianco.
Di fatto Coleman si trova in quel pericoloso limbo interraziale dove si rischia di essere dei reietti, né bianchi, né neri. La decisione di dichiararsi bianco è la sua e nemmeno troppo pesante finché non deve presentare la sua fidanzata alla madre. La bella, e biondissima, Steena (Jacinda Barrett / Urban legend: final cut) non regge il colpo, così Coleman decide di tagliare i ponti con il passato e di "fare il bianco" per il resto della sua vita, il che non solo comporterà la scelta cosciente di non avere figli (come spiegare un nero in casa?), ma anche quella di non vedere più i fratelli e la madre.
Trenta anni dopo, accusato di razzismo appunto, non potrà difendersi con la verità distruggendo così il castello di bugie che è ormai la sua vita e si ritirerà sconfitto. Un'esistenza senza più stimoli che viene rischiarata da due soli bagliori, l'amicizia con lo scrittore Nathan Zuckerman (Gary Sinise / Mission to Mars) e l'amore di Faunia (Nicole Kidman / The hours), anche lei una sopravvissuta. L'incontro tra queste due anime tormentate porterà Coleman alla consapevolezza che solo la verità può rendere veramente liberi.
Vivere da bianco con una mentalità da nero non è sicuramente facile, come non lo è mentire a se stessi per tutta la vita. Robert Benton (Billy Bathgate) non vuole assolutamente giudicare Silk per le sue azioni, piuttosto se c'è qualcuno contro cui punta il dito è l'America stessa e la sua ipocrisia. Il benessere e la falsa tranquillità dei tardi anni novanta non fanno che stimolare ulteriormente la pessima abitudine di mettere alla berlina la diversità e di giudicare gli altri per i loro costumi (Clinton docet).
D'altronde è ormai palese che è solo la forma quella che conta, la necessità di coniare delle parole "politically correct" per handicap od etnie non è che la manifestazione più palese della nostra ipocrisia. Siamo invasi da non vedenti e afroamenricani in luogo di cechi e negri (termine che in italiano non ha mai avuto l'accezione razzista di quello americano, fin'ora). Bene continuiamo pure così farciamo di belle parole le nostre azioni spesso ai limiti del buon gusto, tanto l'importante è che nessuno ci possa puntare il dito contro.
La frase:
"Correttezza politica, mai sentito un esempio migliore di ossimoro."
Valerio Salvi
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