The Hitcher
Un giovane C. Thomas Howell, in viaggio in automobile attraverso le desertiche strade americane, alle prese con un autostoppista psicopatico magistralmente interpretato da Rutger Hauer.
Questa, nel 1986, fu l’idea alla base di "The hitcher - La lunga strada della paura", moderno western camuffato da polveroso thriller on the road dal sapore Anni Settanta che, sicuramente debitore nei confronti di precedenti titoli del calibro di "Duel" (1971) e "La macchina nera" (1977), segnò l’esordio dietro la cinepresa per il promettente Robert Harmon, poi abbandonatosi ad una indefinibile carriera registica per tornare al servizio dell’alta tensione soltanto nel nuovo millennio, con i mediocri "They-Incubi dal mondo delle ombre" (2002) e "Highwaymen" (2003).
Ora, dopo un sequel apocrifo ("Paura nel buio" alias "Hitcher 2-Hitcher in the dark" di Umberto Lenzi, 1989) ed uno ufficiale ("Hitcher 2-Ti stavo aspettando" di Louis Morneau, 2003), è la Platinum Dunes di Michael Bay – già curatrice degli apprezzabili remake di "Non aprite quella porta" e "Amityville horror" – a finanziare il rifacimento del film di Harmon, primo lungometraggio diretto dallo specialista in videoclip e spot pubblicitari Dave Meyers.
Quindi, mentre storiche sequenze come quella della famiglia inconsapevolmente in auto con il folle assassino vengono fedelmente riproposte, la principale differenza, rispetto all’originale, risiede nel fatto che il protagonista Jim Halsey, nei cui panni troviamo questa volta Zachary Knighton ("Un principe tutto mio"), viaggia insieme alla fidanzata Grace Andrews, con il volto di Sophia Bush ("Il mio ragazzo è un bastardo").
Purtroppo, però, Sean Bean (la trilogia de "Il Signore degli Anelli") si trova inadeguatamente a dover sbrigare il compito di rimpiazzare la memorabile figura di Hauer, della quale non riesce in alcun modo a replicare la carica inquietante, mentre, tra lamiere contorte ed automobili distrutte, risultano decisamente aumentati gli spargimenti di liquido rosso.
Ne viene fuori una rilettura indirizzata in maniera evidente al pubblico di teen-ager in vena di riscoperta del cinema di genere del passato, quasi priva della necessaria tensione (onnipresente nel capostipite) all’interno delle numerose sequenze drammatiche e che si presenta nelle semplici vesti di compitino appena sufficiente di cui non si sentiva davvero il bisogno.
La frase:
- "Da dove vieni?"
- "Da dovunque".
Francesco Lomuscio
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