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Sucker Punch
Per Zack Snyder non c’è un’unica via di fuga da una realtà crudele e opprimente, molteplici sono le scappatoie per alienarsi dall’orribile quotidiano; sono strade che convergono per poi allontanarsi, che si sovrappongono per poi intrecciarsi e tornare al punto di partenza che tanto somiglia ad un traguardo. "Sucker Punch" è un film sulle "vie di fuga" che il regista di "300" immagina su più dimensioni: la realtà di un manicomio criminale, l’incubo di un bordello nelle quali le ragazze sono recluse, il sogno estremo di un mondo parallelo dove le epoche, i tempi e i luoghi, si confondono in un guazzabuglio di suoni e colori. Al centro della storia c’è Babydoll, esile ragazza bionda, la quale, rinchiusa in un manicomio perché ingiustamente accusata di aver ucciso la sorella, tenterà la fuga facendosi aiutare ed aiutando le altre ragazze che incontrerà nella seconda dimensione rappresentata dal bordello. Film dunque su più piani narrativi, dopo "Inception" ormai tutto è possibile, che Snyder snocciola con tutta la sua bravura e visionarietà che lo porta a concepire, nell’ultimo del suo cielo narrativo, una realtà raccontata come un video gioco nei cui scenari (grandioso quello della prima guerra mondiale, sempre un po’ meno accattivanti gli altri che denotano un certo inaridimento della creatività), i personaggi, le cinque sexy ragazze, combattano, per l’appunto, a ritmo di un videogames, contro avversari creati da una morbosa fantasia cibernetica. L’opera, accompagnata costantemente da musica rock, ha un inizio folgorante, una vera e propria videoclip, e fino alla metà regge bene, grazie ad un ritmo incalzante e ad una visione scenica e cromatica che caratterizza gli ambienti e le situazioni. Con l’incedere però la tensione si stempera, da una parte per l’eccesso di azione della "terza" dimensione, e dall’altra per una stolida propensione al messaggio new age. Si annacquano, dunque, quella inquietudine, trasmessa soprattutto da Blue Jones (Oscar Isaac) il padrone del postribolo, che disegna un cattivo a tutto tondo, di quelli che piacciono e divertono. e quell’ansia che trasuda anche dalle pareti dei luoghi angusti dove sono rinchiuse le ragazze e sui cui saturi colori il genio trasfigurante di Snyder dà certamente il meglio. Come nei precedenti, l’impronta di Snyder plasma il film rendendolo comunque un fenomeno peculiare che lo eleva, nel bene e nel male, dalla massa delle opere che invadono le sale cinematografiche. E, al di là dei gusti personali, non si può nascondere che la perizia di Snyder sia indiscutibile. Ne è testimonianza la scena degli specchi dove riprende le tre ragazze avvolgendole, facendoci entrare ed uscire dagli specchi: metafora (forse un po’ facile, ma d’effetto) della confusione, voluta, tra realtà e fantasia. Film dunque di buona fattura impreziosito dal casting che seleziona le cinque ragazze, cinque ninfette post moderne dove brilla il contrasto della protagonista, l’australiana Emily Browning, tra la vacua ingenuità e rassegnazione con cui vaga nel mondo reale e la sfrontata sicurezza dei suoi pindarici voli nel fantasy più sfrenato.
La frase: "Possiamo negare che i nostri angeli esistano?".
Daniele Sesti
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