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Suburbicon

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Rosanna Donato02 settembre 2017Voto: 6.5
 

  • Foto dal film Suburbicon
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Lo chiamano commedia nera, ma “Suburbicon” di George Clooney non ha un equilibrio di elementi tale da poter essere definito così. Nato da una sceneggiatura dei fratelli Coen, di circa vent’anni fa e mai rielaborata, il film vede tra i suoi interpreti principali Matt Damon, Oscar Isaac e Julianne Moore, nel doppio ruolo di moglie di Gardner Lodge e sorella di quest’ultima donna. La storia è ambientata nella località di Suburbicon, un tranquillo sobborgo anni cinquanta. Lodge (Damon) è un uomo onesto e rispettabile che vive insieme alla sua famiglia in una delle casette che paiono costruite con lo stampino. La sua pacifica esistenza viene stravolta da una brutale violazione di domicilio. Sarà allora che, riscontrando la stessa lentezza e placidità nelle attività investigative, deciderà di farsi giustizia da solo. L'uomo perbene, consumato dal ricatto e dalla vendetta, è il primo a svelare la maschera di conformismo e ipocrisia che nasconde le meschinità della periferia e della natura umana.
Un film basato su una sceneggiatura dei fratelli Coen che però risulta troppo serioso. Certo, sono presenti battute intelligenti e ricche di humor nero, ma a lungo andare “Suburbicon” di George Clooney prende una piega più macabra che umoristica, tralasciando quell’ironia che ha sempre contraddistinto lo stile dei due registi del recente “Ave, Cesare!”. Un copione che si fonda su alcuni dialoghi particolarmente incisivi, anche se talvolta tendono a scadere nel banale. A lasciare alquanto perplessi è il modo in cui i fatti si susseguono, non tanto per la regia in sé - spesso accattivante e in grado di cogliere lo stato d’animo dei personaggi con primi piani intensi - ma perché il film segue due storie contemporaneamente e lo fa senza un collegamento ben definito tra di esse. Al centro di tutto vi è la storia che vede protagonisti Matt Damon e Julianne Moore, ma a fare da contorno è quella di una famiglia di colore che si è trasferita da poco a Suburbicon ed è mal vista dai suoi abitanti.
I fratelli Coen hanno deciso di inserire nella pellicola il tema del razzismo, che ormai troviamo ovunque. Una famiglia straniera incolpata di aver dato vita ad atroci delitti e violenze solo perché considerata diversa dagli altri cittadini. Quando il colore della pelle diventa più importante della verità. Il problema di queste due vicende è che si intrecciano tra loro in maniera confusa. All’inizio, infatti, è difficile capire dove il film voglia andare a parare. Chi è questa donna di colore? Perché la vediamo così raramente rispetto a quanto accade nella famiglia di Gardner Lodge? Gli sceneggiatori, così come George Clooney, avrebbero dovuto definire meglio l’aspetto del razzismo, che così risulta irrilevante ai fini del racconto. Non era necessario inserire questa sotto trama per il semplice fatto che la pellicola si sarebbe retta da sé anche con la storia principale, visto la superficialità con la quale viene affrontata la tematica razziale.
Un aspetto positivo è senza dubbio la colonna sonora graffiante, che mescola diversi generi e segue in toto il ritmo narrativo serrato e travolgente e i toni cupi e la suspance di cui “Suburbicon” è colmo. Interessante è inoltre il messaggio di fondo: c’è ancora speranza per il futuro. Che le nuove generazioni possano cambiare il mondo, senza lasciarsi condizionare dai pregiudizi? La pellicola, che tocca anche il tema politico - è palese il riferimento all’America razzista di Trump -, è interpretato magistralmente da Julianne Moore, che ricopre un doppio ruolo, risultando sempre credibile e riuscendo a cambiare il tono di voce in base alla figura che deve impersonare. Matt Damon sorprende nei panni di Gardner, il quale nasconde molto più di quanto si possa pensare. L’attore ha dato vita ad un personaggio ricco di sfumature, trasmettendo una naturalezza invidiabile, che invece non emergeva abbastanza in “Downsizing”.


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