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SplitLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Rosanna Donato09 gennaio 2017Voto: 7.0
Spesso le persone intorno a noi appaiono diverse da come sono realmente e diviene difficile comprendere con chi abbiamo veramente a che fare. Altre volte, invece, non ci rendiamo conto che certi atteggiamenti sono dovuti alle storie personali di ogni singolo uomo, mentre altri ancora a un vero e proprio problema della personalità, in “Split” chiamato disturbo dissociativo dell’identità (comunemente conosciuto come disturbo della personalità multipla). È quello che accade a Kevin, un uomo con almeno 23 diverse personalità.
Quest’ultimo è costretto da uno dei suoi tanti alter ego, Dennis, a rapire tre ragazze adolescenti. Le giovani vengono tenute prigioniere in attesa che arrivi l'ultima personalità, la “bestia"... Esisterà davvero o è solo frutto di una fantasia, di un passato troppo ingombrante e pieno di disagi? A dircelo sarà il nuovo thriller di M. Night Shyamalan, che di recente ha diretto l’horror “The Visit”. Tra i tanti interpreti troviamo James McAvoy (“Becoming Jane”), Haley Lu Richardson, Brad William Henke e Anya Taylor-Joy (“The Witch”). Un thriller di pura tensione. È questo ciò che il regista e sceneggiatore M. Night Shyamalan è riuscito a creare con il suo formidabile intuito e le sue doti creative e registiche (già dimostrate più volte nel corso degli anni). Dopo “The visit”, con il quale aveva impressionato milioni di telespettatori lasciandogli però l’amaro in bocca sul finale, torna a raccontare una storia dai tratti inquietanti, soffermandosi questa volta sul lato psicologico dei personaggi più che sulla vicenda in sé. Spesso, infatti, alcune scelte sono dettate da fatti precedenti, accaduti nel proprio passato, che difficilmente si dimenticano. Ed è anche su questo tema che il regista gioca in “Split”: la vita ci pone davanti a delle situazione che segnano nel profondo l’animo di chi le vive, portando a volte a cambiamenti radicali o a malattie psicologiche che prendono il sopravvento. Altro tema di grande rilevanza è il razzismo che intacca la società da troppo tempo ormai, perché la gente non è in grado di accettare chi è diverso da sé e tende a fare di tutta l’erba un fascio, come se le malattie mentali rendessero i soggetti dei mostri. Sin dal principio il lungometraggio è in grado di far insorgere nel pubblico uno stato di tensione elevato, che trova il suo culmine nel sorprendente ma a tratti prevedibile finale. Caratterizzato da un ritmo incalzante che viene mantenuto per tutta la sua durata, il progetto non può essere considerato unicamente un thriller in quanto, soprattutto sulla fine, si assiste a scene che viaggiano verso il più macabro genere horror, aspetto sottolineato dall’ottima scelta della colonna sonora. Sono molti gli elementi degni di nota nella pellicola, a partire dalla straordinaria capacità, apprezzabile nel film in lingua originale, di James McAvoy di cambiare timbro di voce in base alla personalità di quel dato momento. Verso la fine del film c’è anche una scena dove questo aspetto emerge su tutti gli altri, lasciando lo spettatore senza parole. L’attore, pur recitando ruoli diversi, è riuscito a dare ad ogni personaggio la giusta caratterizzazione nelle movenze, nel linguaggio e nell’atteggiamento, mostrando così emozioni differenti e contrastanti e mantenendo il pubblico incollato alla sedia del cinema per tutto il tempo. Forte, d’impatto e poco adatto ai bambini, il film potrebbe coinvolgere gli appassionati del genere e terrorizzare quella percentuale di spettatori che invece non lo apprezza. Già da questo dettaglio è facile intuire che, nel bene o nel male, la pellicola ha dato i suoi frutti. A colpire, inoltre, è l’interpretazione della psicologa (Betty Buckley) e il suo atteggiamento nei confronti di Barry (suo paziente e una delle identità di Kevin): non si limita ad ascoltarlo, ma entra nel suo cuore e osserva nei dettagli il suo comportamento. Tiene talmente tanto a Barry da capire che non è lui a presentarsi alle sedute d’urgenze richieste da uno dei suoi alter ego. L’attrice è molto credibile nel suo ruolo, così come Anya Taylor-Joy nelle vesti di una delle ragazze rapite da Dennis, la personalità più difficile da controllare (sarà davvero così?), insieme a quella di Patricia. Vi consigliamo di seguire con attenzione tutti i dialoghi, molti dei quali sono di estrema importanza ai fini del racconto e spiegano una realtà che non tutti conoscono (certo, il regista si è preso qualche “licenza poetica”, inserendo particolari inventati circa il disturbo ma molto interessanti dal punto di vista psicologico della storia). La frase dal film:
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