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11 Novembre 2009 - Conferenza
"La prima linea"
Intervista al regista e al cast.
di Ilaria Ferri
Presenti in sala: Andrea Occhipinti, Jean-Pierre e Luc Dardenne (produttori), Renato De Maria (regista), Sandro Petraglia (sceneggiatore), Riccardo Scamarcio e Giovanna Mezzogiorno (attori protagonisti).
C'è stata grande attenzione su questo film ancor prima della sua uscita, per una serie di polemiche legate al rapporto complesso con i "veri" Sergio Segio e Susanna Ronconi, e una inusuale decisione di uno dei produttori, Andrea Occhinpinti. Ecco le domande salienti:
I fatti raccontati sono in certi casi molto dettagliati, a quali fonti avete attinto? E le parole pronunciate dai protagonisti rispecchiano la realtà o sono state aggiunte?
Renato De Maria: Esistono moltissimi libri che parlano del terrorismo italiano, fornirvi la bibliografia completa dei testi che abbiamo consultato sarebbe molto lungo. Ci sono stati di grande aiuto anche gli speciali Rai La notte della Repubblica di Sergio Zavoli. Soprattutto l'idea di girare questo film è stata ispirata dalla lettura di Miccia Corta da cui abbiamo preso spunto e ovviamente sono stati fondamentali gli incontri con Sergio Segio e Susanna Ronconi.
Sandro Petraglia: Abbiamo preso spunto da Miccia Corta perché era interessante l'organizzazione dal racconto della vicenda: iniziare con l'evasione dal carcere di Rovigo per poi ricostruire i fatti a ritroso ci sembrava un espediente narrativo ottimo. Poi però abbiamo voluto concentrarci di più sul lato biografico dei protagonisti che alla storia di Prima Linea in sé.
Come avete lavorato sull'aspetto emotivo dei personaggi? Nel film non traspare nessuna compassione per i protagonisti, è stato difficile recitare questi ruoli senza questo tipo di appiglio?
Giovanna Mezzogiorno: Non è stato facile per ovvi motivi, in altri film sul terrorismo le interpretazioni dei terroristi sono sempre o troppo umanizzate o troppo dure, non volevo questo. Ho voluto avvicinarmi il più possibile alla vera Susanna, che è una donna coerente, determinata e dotata di una grande vitalità ed energia, ma anche di tanta amarezza. Ho cercato di dare l'idea dell'estraneità dei personaggi rispetto al mondo che li circonda, che è poi la causa del loro fallimento.
Riccardo Scamarcio: Anche io mi sono documentato molto, mi è stata di enorme aiuto la trasmissione di Zavoli, ma soprattutto l'incontro con Segio che è un uomo che ha un modo di parlare molto pacato, è molto analitico e logico ma curvo su se stesso. Mi è sembrato che lo caratterizzasse una continua implosione, un insieme di agonia e sconfitta causate dalla presa di coscienza dei crimini commessi.
Renato De Maria: Sono rimasto molto colpito dall'età che avevano i protagonisti quando si sono svolti i fatti, Segio quando ha assaltato il carcere doveva avere circa 25 anni, è entrato in Prima Linea a 18, l'omicidio di Alessandrini dovrebbe averlo compiuto intorno ai 20-21 anni. Il mio desiderio era capire cosa li aveva spinti ad agire. Volevo raccontare la loro progressiva separazione dalla vita quotidiana, di come si sono a mano a mano distaccati da ciò che volevano difendere, entrando in una spirale di violenza. Infatti ho cercato di riprendere gli attori sempre dietro un vetro, da dentro la cabina telefonica per esempio, anche le loro case sono semivuote tutto sta a simboleggiare il distacco e l'impossibilità di integrarsi. La pietas c'è, ma non era un argomento interessante, quello che realmente volevamo era raccontare la progressiva separazione, sia fisica che emotiva, dei protagonisti dal contesto vissuto e dagli ideali di partenza.
Giovanna Mezzogiorno: Infatti tra loro e il resto del mondo c'è come una camera d'aria. Abbiamo cercato di mostrare l'estremismo ideologico come un muro che non fa passare nulla ed estranea dal mondo, facendo perdere la propria coscienza e spingendo persino a uccidere.
Sembra del tutto assente la risposta dello Stato e delle persone alle rappresaglie di Prima Linea, come mai?
Sandro Petraglia: Il nostro intento era quello di concentrarci sui personaggi, i riferimenti alla storia e alla reazione pubblica li abbiamo solo accennati all'inizio, e molto marginalmente durante il film. Abbiamo volutamente diradato i rimandi alla realtà quotidiana nel momento in cui iniziano seriamente la lotta armata. Volevamo realizzare un film semplice, raccontando di come l'integralismo non gli abbia permesso di vivere una vita normale. Gli ex-terroristi quando vengono interpellati tengono molto a dare un quadro del contesto di quegli anni, come fa Segio in Miccia Corta, ma noi non abbiamo voluto fare una trasposizione cinematografica del suo libro ma una libera ispirazione. Ciò che ci interessava era portare sullo schermo un personaggio che racconta la sua storia dal momento in cui prende coscienza dei crimini che ha commesso, non vuole essere una biografia ma una storia ispirata a fatti e personaggi realmente esistiti.
Jean-Pierre Dardenne: Secondo noi questo film annoda molti fili della scuola cinematografica italiana. Il pregio del cinema italiano è di essere l'unico che riesce a parlare della propria storia. Quel che ci è piaciuto molto della sceneggiatura è che parla di un assassino che voleva un mondo migliore ma prende coscienza di essere un assassino e quindi vuole ricongiungersi alla realtà da cui si è allontanato. La scommessa di De Maria è stata raccontare la storia di un uomo e secondo noi questa scommessa gli è riuscita.
Luc Dardenne: Quello che mi ha colpito di questo film è che parla del terrorismo attraverso una storia d'amore che finisce male, proprio per ribadire il concetto che dalla morte non nasce l'amore, infatti la morte rischia di far concludere anche il rapporto tra Sergio e Susanna. Tutto il ritmo del film è una lenta agonia: le macchine che in fila si recano al carcere di Rovigo sembrano un corteo funebre che porta i cadaveri delle vittime precedenti e di quelli che stanno per uccidere, come pure quello del loro amore.
Come mai ci sono più persone di sinistra che riflettono e fanno film su argomenti scottanti del passato della sinistra stessa e raramente intellettuali di destra che riflettono sulla strage di piazza Fontana per esempio?
Giovanna Mezzogiorno: Secondo me avviene perché l'Italia fondamentalmente è un paese cattolico e di destra, per cui la sinistra si sente sempre in dovere di spiegare e giustifica tutto. E credo anche che la destra abbia una arroganza insita che non le permette di riflettere su se stessa.
Riccardo Scamarcio: Sono d'accordo con Giovanna ma, parlo da persona di sinistra, penso che anche la sinistra stessa abbia commesso gravi errori e senta il bisogno di redimersi.
Visto il vostro aspetto, come avete fatto a non cadere nell'errore di fare un film su due eroi belli e dannati?
Riccardo Scamarcio: Non mi sono proprio posto questo problema. Quando scelgo un ruolo, soprattutto quando si tratta del protagonista, mi preoccupo principalmente che sia un personaggio interessante.
Giovanna Mezzogiorno: Trovo che questa sia una polemica gratuita! Perché si dovrebbe pensare che Segio e la Ronconi non siano belli? Queste non sono cose importanti, quello che realmente conta è la nostra interpretazione o se il film sia riuscito, se faccia riflettere.
Riguardo alla polemica nata per via del fatto che Andrea Occhipinti abbia rifiutato il finanziamento statale al film, cosa ne pensano i fratelli Dardenne?
Jean-Pierre Dardenne: La decisione di Occhipinti è stata atipica, penso sia la prima volta che succede una cosa del genere. Ma secondo noi è stato un vero e proprio atto di fede nei confronti del film. È stata una decisione coraggiosa che va sostenuta. Occhipinti crede nel film e pensa che possa farcela da solo, senza "spinte statali".
Perché girare questo film proprio oggi?
Renato De Maria: Semplicemente perché sono incappato nel libro nel 2006, me ne è piaciuta tantissimo la struttura narrativa, e perché quasi tutti i film sul terrorismo parlano sempre delle Brigate Rosse e il caso Moro, volevo raccontare una storia diversa. Sono passati già 30 anni da quando si svolsero i fatti, è giusto che si cominci a riflettere su di essi.
Sergio Segio e Susanna Ronconi hanno visto il film? E i parenti delle vittime?
( Tale questione sembra circondata da molte polemiche. Nella prefazione della nuova edizione del libro di Sergio Segio - Miccia Corta, DeriveApprodi 2009 - sembra che l'autore si dissoci sentitamente dal film perché secondo lui è stato troppo trascurato il lato politico e storico del periodo. In molti si sono chiesti se i parenti delle vittime abbiano avuto veto sulla sceneggiatura, ma gli intervistati hanno chiarito prontamente le questioni più spinose n.d.r.)
Sandro Petraglia: Abbiamo incontrato Segio e la Ronconi, abbiamo parlato a lungo con loro e li abbiamo resi partecipi, avvertendoli che il film non sarebbe stato incentrato sulla storia di Prima Linea, infatti è liberamente ispirato da Miccia Corta, dal quale abbiamo preso lo spunto di iniziare a raccontare la storia dalla preparazione della fuga dal carcere. Per correttezza abbiamo chiesto al figlio del magistrato Alessandrini di leggere la sceneggiatura, ma sentendosi troppo addentro alla situazione ha deciso di non darci risposta. All'interno del film abbiamo cercato di avere una posizione neutrale, né dalla parte dei terroristi, né da quella delle vittime. Nessuno ha influenzato la sceneggiatura, né Segio né le associazioni dei familiari delle vittime, anche se il clima attorno alla lavorazione non è stato dei più sereni.
Renato De Maria: È vero, nessuno ha influenzato il nostro lavoro. Nel libro ci sono spesso molte pause del racconto, in cui Segio fa digressioni per descrivere il contesto in cui certe decisioni furono prese, ma in un film non è possibile mettere tutto questo, ne verrebbe fuori un trattato di storia. Mi piaceva riproporre il tono crepuscolare del libro e l'impianto narrativo, Segio forse avrebbe preferito un film sulla storia di Prima Linea ma questo non era il nostro intento.
Giovanna Mezzogiorno: Era inevitabile che non fossero contenti del film. Qui manca quello che avrebbero voluto vedere, ovvero la loro ideologia ammantata del romanticismo e della passione che li ha spinti agli inizi. Invece tutto questo non c'è: il film è crudo, asciutto.
Ci sono delle questioni fondamentali, come il margine di consenso operaio che Prima Linea aveva agli inizi e il rapporto con la famiglia dei due protagonisti, che sono risolte in pochissime inquadrature, come mai?
Renato De Maria: È vero, ci sono solo alcuni brevi riferimenti a tali questioni, non c'era lo spazio narrativo per affrontare tutto approfonditamente, in più il racconto della vicenda avviene a posteriori quando Sergio e Susanna già vivono in clandestinità e già sono dissociati dalla realtà. Abbiamo anche girato alcune scene con la madre di Susanna, ma poi abbiamo deciso di tagliarle per rafforzare l'impressione di separatezza tra i protagonisti e la loro vita precedente.
La conferenza stampa tra una polemica e l'altra si è avviata al termine. Il film ha colpito gran parte dei presenti, lasciando un sentimento di profonda amarezza. È bene che si parli di questi temi, che spesso non vengono approfonditi nemmeno a scuola tanto sono recenti, anche se scaldano gli animi con così tanta facilità.
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