Festival di Cannes 2010

Cannes 2010/ Diario del giorno


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Il Diario da Cannes.
Il diario quotidiano dei nostri inviati con il resoconto di quanto accade al Festival, cinema ma non solo...



20.05.2010 - Quando al casinò, non tutto va nel verso giusto

E' finalmente il giorno del cinema americano. Dopo otto giorni di pellicole dalla trama minima, storie stiracchiate in lungo e in largo fino all'inverosimile, saremmo disposti a tutto per una pellicola che abbia un inizio, un nucleo centrale e una fine. Anche un brutto film americano di una major ha normalmente il merito di non fare pesare la propria durata. Quando poi si tratta del regista di "The Bourne Identity" e di tanti altri film d'azione, l'idea che possa aver realizzato qualcosa di sonnolento è un pensiero che fa ridere. "Ma ti pare che Doug Liman ci dà la sola?" La sveglia delle sette viene quindi salutata senza troppo dispiacere. Alle 8 e 20 siamo in fila quindi per "Fair Game". Non sappiamo nulla della trama, solo che nel cast ci sono Sean Penn e Naomi Watts e che il primo non è venuto qui a Cannes a presentare il film, abbassando ulteriormente il tasso di star presenti al festival. Abbiamo un po' di fretta, alle 11 inizia un altro film e speriamo quindi che la nostra proiezione inizi puntuale (dura 150 minuti). Come potrete immaginarvi; tutto va davvero per il meglio. E così: la sala principale in cui dovevamo vedere il film alle 8 e 30 è già piena, veniamo dirottati in un'altra dove lo stesso film dovrebbe iniziare alle 9 e quando il film inizia, lo fa senza sottotitoli in francese. Buu in sala da parte dei transalpini, interruzione della proiezione dopo cinque minuti, discorso del macchinista che spiega che ci sono problemi e che, "o si aspetta anche mezz'ora che arrivino i sottotitoli o si guarda il film in inglese", nuovi buu da parte dei francesi per opporsi ai tanti stranieri a cui il non sottotitolo va bene lo stesso, convocazione generale di tutti i presenti che, per alzata di mano decidono per un "meglio l'inglese che nulla", impossibilità di comunicare la decisione al proiezionista che nel frattempo è scomparso (era in bagno), e conclusivo nuovo inizio del film senza sottotitolo con circa mezz'ora di ulteriore ritardo. La sala si svuota improvvisamente, l'inglese, questa lingua sconosciuta, e una signora francese grida, dando le spalle allo schermo, con tono napoleonico "Eccola l'egemonia dell'inglese! Stanno prendendo anche i nostri cinema!". L'osservazione ci stende sulla poltrona e non abbiamo la forza per controbattergli che non è colpa del film se è stato girato in inglese, e che poteva succedere la stessa cosa per un cinese o un iraniano, ma in fondo è meglio così. Vive la France!
In realtà "Fair Game" inizierà poi circa un'ora dopo da quando aveva realmente cominciato. Che significa? Semplicemente che i primi sessanta minuti non servono assolutamente a niente, si tratta di una serie di dialoghi complicati non per il linguaggio utilizzato, ma per l'assenza di senso. Sembra una parodia del vecchio Pippo Kennedy Show. Ad un certo punto il film prende per fortuna un'altra piega e ci viene raccontata, semmai non lo sapessimo già, quanto la CIA ha fatto e continua a fare delle porcate nel nome di calcoli politici ed economici che non riguardano la società civile. Si tratta di una storia vera, una coppia di coniugi che aveva sempre lavorato per lo Stato (lei agente segreto, lui diplomatico) che denuncia le malefatte e per questo viene attaccata e diffamata da media controllati politicamente. Niente azione, niente trama in tre atti, un minimo di indignazione empatica, ma purtroppo anche tanti sbadigli. Saltato il film successivo, che recupereremo domani, siamo andati in sala stampa. Abbiamo scritto finché alle tre ci siamo diretti ad intervistare JR, un geniale street artist francese su cui vi consigliamo di fare qualche ricerca su google. Lui è uno spasso, si lascia andare, racconta i suoi inizi da vandalo pentito e del suo lavoro fatto per il mondo con il progetto, diventato poi film, "Women are heroes". Certe immagini, così come le idee dietro, sono davvero straordinarie. Per la prima volta da anni, quando ci comunicano che non abbiamo più altro tempo a disposizione per chiacchierare, ci dispiace.
Tornando in sala stampa mangiamo un paio di pezzi di pizza rossa con il formaggio di capra (mai assaggiata prima, comunque buona), Quando apriamo la casella e-mail ci appare un remainder: di sera siamo invitati ad una mega festa organizzata dal regista e sceneggiatore premio oscar Paul Haggis per raccogliere fondi pro-Haiti. A questo punto il piano è tornare a casa ad un'ora decente, cambiarsi, provare a mettersi in tiro nonostante occhiaie e barba lunga (si scopre che abbiamo solo un Bic prima generazione, una sola lama e una struttura in plastica della consistenza di una penna) . Tutto va per il meglio, peccato che quando alle dieci arriviamo alla festa, scopriamo che apre solo alle 11 e 30. Accanto c'è un casinò e così decidiamo di giocarci quei pochi soldi guadagnati in giornata scrivendo di cinema. Io e gparker optiamo per Roulette e Black Jack (puntando sempre il minimo, le nostre finanze durano quaranta minuti) mentre Manny si butta sulle slot machine. Non aveva bevuto niente, eppure per fare la prima giocata si impegna nell'infilare un gettone tondo dove nello spazio rettangolare per la carta fedeltà . Quella che segue è una disperata lotta di un addetto alla sala con la neo-inutilizzabile slot machine. La difesa di Manny è che "ci entrava benissimo il gettone, come burro!", ma ciò non sembra alleviare la rapidità con cui l'addetto della sala comincia a sudare. Armato di forcine per capelli fornitegli da una croupier, il gettone non accenna a voler uscire da quella fessura in cui nessuno, pare, avesse mai provato ad infilarlo prima di Manny.
Quando ce ne andiamo, lui è ancora lì che impreca contro i maledetti italiani che si fanno sempre riconoscere. A mezzanotte andiamo quindi alla festa, quella giusta, quella giustissima, quella che ci ricorderemo per anni. Per anticipare ciò che vi diremo solo nel diario di domani, visto che è successo tutto dopo la mezzanotte, mentre Timbaland (il più grande rapper e produttore musicale di questi anni) metteva i dischi e, a poca distanza da noi ballavano Russell Crowe, Gerard Butler, Michelle Rodriguez e tante alte star di cui non è che ci importi tanto, ma che comunque è stato curioso osservare fuori dal normale contesto, è apparso Lionel Ritchie. Ha improvvisato un "All Night Long" e a quel punto, è stato il vero delirio…

di Andrea d'Addio

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