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Somewhere
Se si dovesse definire con un'unica parola l’ultima fatica di Sofia Coppola, sarebbe difficile trovare quella più adatta. Semplice, originale, innovativo, poetico, descrittivo, complicato, profondo, tutte queste parole rispecchiano l’essenza di questo film, ma non bastano ancora.
Si potrebbe però cercare di definire la trama in poche parole: il famoso attore Johnny Marco, bello e dannato, fa la bella vita e si gode la sua fama quando improvvisamente è costretto ad occuparsi della figlia di 11 anni, e questo lo porta verso l’inevitabile confronto con se stesso.
Ma "Somewhere" è molto più di questo.
È abbastanza riduttivo, infatti, dire che Johnny abbia avuto una crisi esistenziale proprio quando è stato costretto ad occuparsi della figlia Cleo per più di una giornata. L’insoddisfazione, la ricerca di qualcosa di nuovo, qualcosa di vero, Sofia Coppola ce la fa intendere fin dalla prima sequenza, quando Johnny, a bordo della sua Ferrari, gira in un percorso ad anello infinite volte, a quella velocità in cui senti l’adrenalina scorrere nelle vene, e lui con quel bolide da sogno gira, gira, gira... e poi si ferma, esce dall’auto e contempla il vuoto.
E così è la sua vita, ogni giorno è sempre lo stesso, ogni gesto privo di qualsiasi emozione, persino le belle donne che lo circondano e che gli regalano spettacolini sexy non danno un po’ di brio alla sua vita. Una routine monotona e logorante che ben si discosta dall’immaginario collettivo. La regista si sofferma su questo lato del protagonista da risultare quasi snervante. Le scene sono girate in lunga sequenza, e spesso la telecamera si sofferma talmente a lungo sull’attore da potergli veder fumare un’intera sigaretta. Ma per quanto questo possa sembrare noioso, in realtà è un espediente descrittivo che porta naturalezza e normalità alla linea narrativa, tanto che alla fine ci immergiamo in quel genere di vita e di sensazioni, al punto che l’apatia di Johnny finiamo per sentirla pure noi.
La regia è curata nei minimi dettagli e ogni scelta stilistica, dalla fotografia alla scelta delle tonalità cromatiche rispecchiano i momenti essenziali. Ad esempio, l’arrivo di Cloe (la figlia di Johnny) è segnato da un aumento di gamma e tonalità di ciascun colore, come per esaltare il fatto che con lei lui si senta veramente realizzato.
L’interpretazione dei protagonisti, poi, rende la comprensione della pellicola più semplice. Stephen Dorff, nei panni di Johnny, ci da una perfetta rappresentazione dell’uomo che pur essendo ammirato e osannato da tutti, si senta una nullità lontano da sua figlia. Elle Fanning, dal canto suo da un’immagine di Cloe così spontanea da risultare perfetta. A vederla è la figlia ideale, educata e composta, ma allo steso tempo così piena di vita e naturale, una ragazza come tante, se non fosse per il suo celebre genitore.
Altro protagonista importante di "Somewhare" è lo Chateau Marmont, uno dei più famosi Hotel di Los Angeles, il cui fascino è dato dalle innumerevoli star che vi hanno soggiornato, e, nonostante parte della sua fama sia tristemente attribuita al fatto che John Belushi sia morto li, indubbiamente l’aria che si respira è quella lasciata da attori e musicisti, registi e produttori discografici che in quelle stanze hanno trovato l’ispirazione per le loro migliori interpretazioni.
L’unico neo è la descrizione del mondo televisivo italiano, ma purtroppo la cosa non è da attribuire ad una pecca di sceneggiatura o di regia. Sofia Coppola riesce fin troppo bene a descrivere la pacchianeria del nostro mondo dello spettacolo, che stride persino con l’insulsa esistenza del suo protagonista, per cui la regista trova un empatia che si percepisce ad ogni fotogramma.
Non importa come vada a finire la storia, se ci sarà redenzione e l’attore maledetto metta finalmente la testa a posto, se riesca a trovare un senso di pace, o se trovi un equilibrio con la sua quotidianità, quel che conta in definitiva è il ritratto che scaturisce da questo film, e che esula persino dal contesto in cui viene inserito, riproponendosi ad ognuno di noi.
La frase:
Il massaggiatore a Johnny Marco: "Dato che i miei clienti sono nudi penso che si sentano più a proprio agio se lo sono anche io".
Monica Cabras
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