Slipstream - Nella mente oscura di H.
A distanza di quasi 12 anni dalla sua ultima regia, era il 1996 e il film era August, Sir. Anthony Hopkins ci riprova, e questa volta, lo fa con un’opera molto ambiziosa, sperimentale, eccentrica.
La pellicola, presentata con successo all’ultimo Festival del Cinema di Locarno, proietta lo spettatore in una sorta di "storia nella storia", tra surreali visioni e deliranti trame.
Se all’inizio il film risulta un pò lento e poco originale, è quando il racconto esce dai suoi canoni stilistici più classici, che si svela in tutta la sua lucida follia narrativa.
Un viaggio composito, quello di Hopkins, sulla natura della realtà, sull’illusione della vita, ma anche sul concetto visionario di spazio e tempo.
I personaggi sono plasmati e rimescolati più volte, impazziscono in universi paralleli che il regista crea per loro, si sovrappongo tra reale e irreale, tanto che alla fine lo spettatore fa fatica ad inquadrarne identità e ruoli.
Un cast, poi, indubbiamente poliedrico e di valore.
Se nel percorso riusciamo a trovare un Christian Slater, dalla personalità bipolare e complessa (stile Schegge di follia), dall’altra incontriamo personaggi come John Turturro, regista fuori dagli schemi, metafora, forse, della Babilonia hollywoodiana di oggi.
Grande impatto, bisogna sottolinearlo, è il lavoro del montaggio: capovolgimenti, intercambiabilità, piani simmetrici, allucinazioni cromatiche, sono componenti sopraffine, che insieme alla fotografia di Dante Spinotti, rendono questo lavoro ancora più tortuoso e alienante.
L’idea di una società nel caos, di (dis)illusioni (pre)meditate, che compaiono nella pellicola, sono segni forti, affatto da sminuire, di un Hopkins, rinvigorito e per niente "bollito".
Ovviamente cercare di narrarsi (la mente oscura di H sarà forse la sua ?) e di narrare, senza cedere in banalità di genere non è mai facile.
Merito, qui, del vecchio Dott. Lecter, è quello di non aver avuto timori di sorta, ma anzi di essersi lasciato sedurre e coinvolgere da un progetto, fortemente desiderato e degno di credibilità registica.
Unico appunto, forse, è quello di non aver approfondito alcuni personaggi, dalla cameriera Bonnie (una brava S. Epatha Merkerson), protagonista sbeffeggiante della morte, o come Geek (Jeffrey Tambor), meravigliosa, cinica spalla di Ray – Slater.
Destabilizzare, coinvolgendo: questo è l’obiettivo della pellicola, convenzionalmente contrastante, ma fortemente di interesse.
La frase: "Siamo in un film ? Tutto è un film".
Andrea Giordano
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