Sin City - Una donna per cui uccidere
Con un frenetico prologo – non privo di ossa rotte e sgozzamenti – abbiamo di nuovo in scena Mickey Rourke nei panni del disadattato ma leale spaccafacce Marv, a nove anni da quel “Sin city” (2005) che, anziché trasporre su grande schermo l’avventura grafica partorita nel 1991 dalla geniale mente di Frank Miller ispirandosi ai film noir degli anni Quaranta e Cinquanta, diretto dallo stesso creatore della ninja dei fumetti Elektra insieme a Robert Rodriguez (ma c’era anche un breve segmento a firma di Quentin Tarantino) si propose direttamente in qualità di sorta di vero e proprio trasferimento su pellicola delle strisce disegnate.
Infatti, come nell’opera cartacea, fu attraverso un livido bianco e nero occasionalmente fornito di tracce di colore che vennero raccontate le sfide tra corrotti ed i violenti duelli all’ultimo sangue consumati nella immaginaria città del titolo; anche scenario di questo secondo lungometraggio cui, considerata la tipologia di operazione, non può fare altro che giovare all’aspetto visivo il ricorso al 3D, del quale il già citato autore di “Dal tramonto all’alba” (1996) e “Machete” (2010) è stato in un certo senso anticipatore della riesplosione tramite “Missione 3D - Game over” (2003) e “Le avventure di Sharkboy e Lavagirl in 3D” (2005).
Lungometraggio in cui Jessica Alba concede ancora una volta anima e corpo alla spogliarellista Nancy, desiderosa di vendicare la morte dell’amato Hartigan, ovvero Bruce Willis, mentre Josh Brolin sostituisce Clive Owen nel ruolo di Dwight, qui convinto dalla perfida femme fatale Ava alias Eva Green, per la quale aveva in passato perso la testa, ad aiutarla a liberarsi dai soprusi del marito milionario.
Perché, man mano che assistiamo anche alle partite a poker tra il presuntuoso giocatore d’azzardo Johnny e il perfido senatore Roark, rispettivamente interpretati da Joseph Gordon-Levitt e Powers Boothe, è lei, spesso integralmente nuda e solcata in maniera altamente erotica da ombre e chiaroscuri, a rappresentare la donna per cui uccidere, volta inoltre a fornire il più o meno condivisibile sottotesto misogino (?) dell’insieme.
Nel corso di oltre un’ora e quaranta minuti di visione che, oltre a recuperare dal capostipite, tra gli altri, Rosario Dawson e Jaime King, non solo sfruttano Ray Liotta e Juno Temple all’interno di una sequenza di sesso con manette, ma coinvolgono in brevi apparizioni la popstar Lady Gaga e il Christopher Lloyd di “Ritorno al futuro” (1985).
Brevi apparizioni che ne includono anche una televisiva degli stessi Rodriguez e Miller, i quali, in mezzo ad occhi cavati a mani nude, teste mozzate ed arti tagliati, confezionano un episodio numero due che, nel ribadire che il potere è qualcosa di fragile e che non tollera minacce, pur apparendo a tratti più convincente rispetto al precedente ne mantiene, in fin dei conti, gli stessi pregi e difetti.
Pregi accomunabili soprattutto alle affascinanti immagini e difetti individuabili proprio nella scelta di sostituire le didascalie su carta con la onnipresente voce narrante che rischia a lungo andare di stancare lo spettatore; il quale, se nel caso della lettura di un albo può chiuderlo quando lo ritiene opportuno per continuare in un altro momento, in sala è costretto a trattenersi fino al termine del film, senza prendere pause.
La frase:
"A Sin city o entri con gli occhi coperti, o non ne esci più".
a cura di Francesco Lomuscio
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