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Simone
Ammantato dal mistero - tutti gli appartenenti della troupe hanno dovuto firmare una clausola di segretezza - arriva finalmente sugli schermi "Simone" di Andrew Niccol, il talentuoso sceneggiatore di "The Truman Show" che approda alla sua seconda regia, dopo l'originale "Gattaca - La porta dell'Universo".
Come per i precedenti lavori, il regista di origine neo-zelandese, affronta le tematiche legate alla dicotomia tra apparenza e realtà, tra verità e finzione, tra vita e arte. In quest'ultimo film vi aggiunge un elemento di critica più legato al concreto del mondo di cui fa parte, quello del cinema, quello di Hollywood.
Protagonista di "Simone" è infatti Viktor Taransky (Al Pacino) un regista di secondo ordine la cui attrice principale del suo ultimo film ancora in lavorazione (un'antipatica Winona Ryder) lo molla perché la sua roulotte non è la più grande tra quelle assegnate agli altri partecipanti del cast. Taransky viene licenziato dalla produzione, a capo della quale c'è la sua ex seconda moglie (Catherine Keener, "Essere John Malkovic"). Grazie al lascito di Hank, un inventore pazzoide morto prematuramente, acquisisce un software che gli permetterà di creare Simone, un'attrice virtuale che lui spaccerà per reale.
Niccol rovescia quanto accaduto nel film interamente virtuale "Final Fantasy". Là si cercava di far passare per reale un'attrice completamente programmata al computer, in "Simone" l'operazione si inverte e si fa interpretare ad un'attrice in carne (e che carne...) ed ossa, l'esordiente Rachel Roberts (un'ex modella), un personaggio che sul copione è invece completamente virtuale. Operazione interessante ma pericolosa. Infatti, all'inverso di ciò che accade nel film dove tutto il mondo crede alla reale esistenza di Simone, lo spettatore, invece, ad un certo punto inizia a chiedersi se la Simone che vede sullo schermo sia veramente reale o solo una creazione del computer. Colpa della perfezione del personaggio (così amabile, così generosa e modesta, così politicamente corretta) ma anche della bravura di Niccol nel dosare con parsimonia le misure di quella verità che solo alla fine verrà svelata nella sua interezza. Ma è ormai troppo tardi. Il suo Dio, Taransly, si rende conto che la sua creatura virtuale è ormai più reale di tutto e di tutti quelli che gli stanno intorno. Il pubblico vuole i suoi miti e pur di averli è disposto a tapparsi idealmente gli occhi e ad accettare come vero ciò che è solo pura finzione.
Come detto il film non è solo questo. Vuole anche essere un attacco al divismo esasperato degli attori di oggi (rappresentato dalle bizze del personaggio della Rider) ed un malinconico rimpianto del cinema di una volta quando a comandare erano i registi e non le vedette. Tema che da Niccol deve essere molto sentito vista l'insistenza nel disegnare il personaggio di Pacino - la cui statura interpretativa oscura chiunque gli reciti attorno - come un regista alla affannosa ricerca della propria affermazione. "Ti ho creato Simone affinché io esista" ripete in uno dei suoi monologhi con la pupa di pixel.
Ottimo film, ottime le tematiche affrontate, l'opera però stenta nella prima mezz'ora a decollare. Con la nascita di Simone il film si innalza, così come la carriera di Taransky, regista e creatore di Simone, la perfetta.
Das
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