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Seven Swords
Tsui Hark (immeritatamente soprannominato "Lo Spielberg d'oriente") è come un virus pericoloso.
Ma ormai questo lo sapevamo dai tempi di "Blade" o "Once upon a time in China", e né il super budget né le scenografie meravigliosamente affascinanti né lo star interstellare gli sono serviti per creare una buona opera, considerando anche le aspettative per il film d'apertura del Festival di Venezia di quest'anno.
Insomma, come sempre, Tsui Hark attacca come un virus pericolosissimo, entrando e colpendo direttamente il nucleo dell'opera, annientando-distruggendo-disintegrando tutti i sistemi filmici quali connessioni spaziali-temporali / inquadrature-movimenti di macchina.
Seven Swords è una (inter)contaminazione culturale: c'è chiaramente il wuxia-pian (storie di cappa e spada di Hong Kong), il richiamo a Kurosawa e il suo "I Sette Samurai", ma più di ogni altro c'è un grande riflesso western, quello spaghetti di Leone e quello rognoso di Peckinpah, e poi, c'è il (quasi) fantasy, tocco dato dai personaggi volutamente ed eccessivamente iconografici (la cattiva del film sembra uscita da un concerto dei Sex Pistols o dei Kiss) e da scene che sembrano essere riprese direttamente da un Signore degli anelli.
Progetto ambizioso quindi, tanto che voci sussurrano di una saga completa con 6 film in totale.
Progetto che, speriamo tanto non continui e che cessi subito dopo questo primo film.
Seven Swords è morte della quiete e dell'equilibrio filmico; è posizionare la macchina da presa nei posto più sbagliati, non cogliendo così il dinamismo che ogni wuxia-pian richiederebbe; è un montaggio dove invece di inseguire quella linearità o classicità wuxia (armonia delle immagini), punta invece allo stordimento visivo, generando confusione sia narrativa che costruttiva negli spettatori.
Tsui Hark arriva quindi a contraddirsi da solo, in quanto la sua opera dovrebbe teoricamente parlare dell'armonia, o meglio, della ricerca dell'armonia, eppure le sue immagini sono tutto tranne che armoniose: è il caos, uno stupro visivo che deve infastidire a tal punto da scoppiare in sala urlando pietà.
Ci sono giusto un paio di scene interessantissime e meritevoli di applauso, dove il regista sembrerebbe raggiungere, a tratti, quell'illuminazione che in realtà non è mai arrivata e non arriverà mai (ricordiamo la bellissima scena del cavallo e gli stop-frame, costruita in modo intensissimo, ma che nel giro di 2 secondi netti sparisce come una bolla di nebbia).
Peccato quindi, per questo progetto di grande portata fatto affogare nell'acqua in questo modo; è una pellicola che non possiede né la poetica armoniosa di un "La tigre e il dragone" né il tocco autoriale/coreografico di un "Hero"/"La foresta dei pugnali volanti"; c'è solo confusione.
Insomma, ci troviamo davanti al solito film di Tsui Hark. Un film brutto, quindi.
La frase: "Bevi il sangue del tuo nemico. Dopo non ne avrai più paura."
Pierre Hombrebueno
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