September Tapes
Sicuramente quei due aerei piombati sulle torri del "World trade center", poco più di tre anni fa, hanno cambiato il nostro modo di vivere incutendoci paure e dubbi che prima non sapevamo. Sicuramente, però, è anche vero che hanno cambiato il nostro modo di vedere quello che accade nel mondo. Dopo l'11 settembre tutto, anche le atrocità più grandi sono diventate spettacolo. Da quando le due torri si sono sgretolate, riprese da ogni angolazione (per come è stato possibile è sembrata quasi reality tv!), gli Stati Uniti hanno iniziato il loro show in mondovisione. Però voglio dire una cosa: quando è troppo è troppo!
Il film di Christian Johnston sull'11 settembre, farà sicuramente discutere (ma al giorno d'oggi si discute altrettanto animatamente per due non famosi che fanno a botte sull'Isola dei famosi!) perché è il primo film girato da un americano in Afghanistan, dopo "l'invasione" degli americani. E fin qui tutto va bene: un indipendente che cerca di dire la sua da un punto di vista che non sia quello della "giustizia duratura" (mi pare fosse questo il nome dato a quella pagliacciata). Però c'è qualcosa che non gira. "September tapes" parte come un documento importante e finisce col diventare una sorta di "Rambo 4".
Questo film è il risultato di 8 nastri trovati dal regista (una sorta di "Blair Witch project"), in cui un personaggio (Don Larson, interpretato da George Calil), colpito negli affetti più cari da quel giorno maledetto, decide di farsi giustizia da solo e parte alla ricerca di, nientepopodimenoche, Bin Laden. Il film è proprio il racconto di questo viaggio da Kabul ai confini dell'Afghanistan, con tutto quello che ne consegue.
Ci viene detto che gran parte di quei nastri è ancora in mano ai servizi segreti statunitensi perché materiale scottante. Sicuramente c'è una cosa da dire: Cristian Johnston ha avuto un gran coraggio, perché benché non se ne ricordi più nessuno (essendoci un'altra guerra "pubblica" in atto), l'Afghanistan è un paese che è ancora ben lungi dalla normalità. Tanto più lo era due anni fa, il periodo in cui il film è stato girato.
Quindi i propositi sono buonissimi perché ci parlano di una guerra scatenata per ragioni che vanno al di là della ricerca di un uomo feroce quale può essere Bin Laden (tra l'altro in molti momenti del film si afferma molte volte che all'esercito americano di questo terrorista non gliene importa nulla); ed è altrettanto lodevole il proposito di affondare le ragioni di Bush che appena sente odore di petrolio invade un paese. Va quasi tutto bene (ed infatti, il film per i primi tre quarti d'ora regge benissimo), l'unica cosa che non va proprio è questa commistione di realtà e finzione che tradisce gli intenti, tanto che alla fine ci si chiede se questo è un film pro guerra o contro (il regista afferma che è un film contro la guerra). Questo mischiare il vero con il falso ci spiazza, e ci sembra quasi di assistere ad un reality show in cui tutto vuole sembrare vero, ma è palesemente finto. Le pose da John Wayne dell'interprete principale ci rendono il racconto, uno show. E forse sarebbe ora di capire che tanta gente innocente e reale è morta non solo quell'11 settembre, ma anche dopo, nei mercati di Kabul, nelle scuole, negli ospedali, nelle strade. E' morta per una guerra che neanche voleva. Il fatto che si rivendichi la vittoria della democrazia in un paese dove i Talebani dettavano legge è ovvio ma fuorviante. E' vero che la dittatura talebana era atroce e contro ogni giustificazione perché impediva la libertà a chiunque, ma è pur vero che gli Stati Uniti questa guerra non l'hanno fatta per la democrazia, ma per gli oleodotti. Così come quest'altra di guerra non l'hanno certo fatta per le armi di distruzione di massa (che non ci sono mai state e lo sapevamo tutti), bensì per i pozzi di petrolio.
E allora, per quanto il film sia un po' una delusione, è comunque importante che negli Stati Uniti cominci a rinascere un cinema, a modo suo, politico (un po' come si faceva negli anni settanta), che da Michael Moore in poi ci lascia ben sperare nel futuro.
Mettete dei fiori nei vostri cannoni.

Renato Massaccesi

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