Scusa ma ti voglio sposare
Cortese riverenza da una parte, determinazione sentimentale dall'altra. A ben vedere, il primo verbo del titolo "Scusa ma ti voglio sposare" - che ricalca quello del capitolo precedente - potrebbe essere pronunciato da entrambi i protagonisti, venti e quarant'anni, nella loro relazione di coppia.
Scrittore nonchè autore, sceneggiatore e regista per televisione, cinema e teatro, Federico Moccia spazia tra borghesia e nobiltà, riservando (via flashback, battute e frecciate) qualche gratuita ironia sul passato dei genitori della ragazza ex "squatters" e musicisti "punk", come anche sul professore "no-global", a sancirne lontananza ed estraneità. Siamo quindi in un mondo di castelli con servitù, ville da piccola "comune" ed eleganti appartamenti, di lavori prestigiosi, di spese presso negozi di lusso, di divertimento tra ristoranti, feste, "rave" in spiagge di tendenza. Delle due fasce d'età rappresentate, quella giovane si esalta con linguaggio iperbolico ("delirio", "meraviglioso", "tantissimo", "pazzesco", "troppo bello") e comprensibilmente teme ciò che comportano l'istituzione matrimoniale e la gravidanza; la più adulta è invece succube della famiglia di provenienza, indossa indicative magliette (fronte "40", retro "maddechè"), in amore vive tradimenti, gelosie, "terapia dell'insicurezza" e segue il percorso a tappe che prevede nozze, separazione, celibato. Prodotto da catena di montaggio dell'intrattenimento generazionale (5 libri per altrettante trasposizioni filmiche, dove pagina e grande schermo si alimentano vicendevolmente), la pellicola indovina ben pochi sorrisi (il corso prematrimoniale ad "eliminazione", la scena della caccia e in generale i siparietti di Pino Quartullo) mentre sprofonda inesorabilmente nelle banalità ("è sempre difficile quando ci si trova davanti a una scelta", "le prove si superano" o la corsa dei 4 coetanei a cercar di recuperare le relazioni perdute).
La frase:
- "Ditemi che non è vero"
- "Non è vero"
Federico Raponi
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