Saw III
Un tizio dal piede incatenato tenta disperatamente di liberarsi: il sadico serial killer Jigsaw (Tobin Bell) è tornato! Sfuggito alla polizia ed affiancato da una complice, come avevamo potuto apprendere al termine del secondo capitolo della fortunata serie horror-thriller iniziata da James Wan con lo splendido "Saw-L'enigmista" (2004), è ancora a caccia di sventurate vittime da sottoporre ai suoi perversi test, mentre il cancro provvede a consumarlo. Nelle sue grinfie, infatti, cade questa volta la dottoressa Lynn Denlon (Bahar Soomekh), la quale si trova costretta a fare di tutto per tenerlo in vita, mentre Jeff (Angus Macfayden), padre desideroso di vendetta nei confronti dell'uomo che causò la morte del figlio in un incidente automobilistico, viene introdotto in un percorso da affrontare attraverso il conseguimento dei classici, diabolici "giochi enigmistici".
E' subito chiaro, quindi, che la situazione alla "Cube" (1997) su cui vennero costruiti i primi due episodi, la quale prevedeva una o più persone rinchiuse in un'ignota "prigione", viene qui ritoccata in favore di due trame progressivamente sviluppate in parallelo; ma ciò, nonostante la quasi totale presenza di interni, contribuisce non poco ad alleviare quel particolare ed indispensabile senso di claustrofobia e disorientamento che emergeva nei tasselli precedenti, le cui ambientazioni, ristrette e prive di alcun contatto visibile con il mondo esterno, finivano per risultare geograficamente incollocabili.
Purtroppo, però, le note negative di "Saw 3" - diretto da Darren Lynn Bousman, già responsabile dell'ottimo "Saw 2-La soluzione dell'enigma" (2005) - non si riducono a questo, in quanto, tra toraci scoperchiati e piccoli uncini conficcati nella carne come in "Hellraiser" (1987) di Clive Barker, è evidente il maldestro tentativo di camuffare la pochezza dei circa 113, stanchi minuti di visione (veramente troppi!) facendo ricorso a sequenze di tortura e morte sempre più elaborate e grondanti emoglobina, tanto che perfino il twist ending risulta meno inaspettato del solito e poco soddisfacente.
Aspetto, quest'ultimo, che più di ogni altro testimonia la caduta del prodotto all'interno della letale morsa della serialità, la quale, come accaduto per horror cult del calibro di "Nightmare-Dal profondo della notte" (1984) e "Venerdì 13" (1980), prevede per i vari sequel del capostipite soltanto l'amplificazione dell'elemento di spicco, quindi la violenza. Ma, se nei film che vedono protagonisti i sanguinari Freddy Krueger e Jason Voorhees essa, rappresentata attraverso veloci sequenze di omicidio poco dettagliate, finisce per provocare nello spettatore un certo effetto liberatorio, in "Saw 3", che non ci risparmia neppure un'operazione chirurgica a cranio aperto ed il decesso di una donna congelata viva, assume soltanto i connotati di un gioco di celluloide forzatamente sadico e, di conseguenza, di cattivo gusto.
D'altra parte, cosa ci si poteva aspettare da un lungometraggio attorno a cui, in patria, ruota perfino una squallida trovata pubblicitaria che vorrebbe un numero limitato di locandine colorate con inchiostro rosso mischiato al sangue dell'attore protagonista Tobin Bell?

La frase: "Voglio fare un gioco; le regole del gioco sono semplici, la conseguenza del non rispettarle è grande: la morte".

Francesco Lomuscio

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