Riflessi di paura
L’originale coreano, diretto nel 2003 dall’allora esordiente Sung-ho Kim ed internazionalmente conosciuto come "Into the mirror", s’intitola "Geoul sokeuro" e, sicuramente tra i migliori horror provenienti dal Sol Levante, narra di un ex poliziotto che, finito a lavorare come sorvegliante in un grande magazzino ricostruito dopo che un incendio lo aveva distrutto provocando l’uccisione di molti dipendenti, scopre il legame tra una serie di misteriose morti e gli specchi del posto, al cui interno le immagini riflesse sembrano vivere di vita propria.
Soggetto sotto certi aspetti debitore nei confronti di "Mirror-Chi vive in quello specchio?", diretto nel 1980 dal tedesco Ulli Lommel, e che ora si ritrova alla base dell’immancabile remake a stelle e strisce, con Keefer"24"Sutherland nei panni del protagonista sotto la direzione del talentuoso francese Alexandre Aja, già regista, tra il 2003 e il 2006, dell’ottimo "Alta tensione" e dell’apprezzato rifacimento de "Le colline hanno gli occhi".
Bisogna subito precisare, però, che il suo lungometraggio riprende soltanto l’idea iniziale da quello di Sung-ho Kim, rispetto al quale aumenta la dose di effetti speciali e spettacolarità (del resto, è di una produzione americana che stiamo parlando), preferendo invece di lasciare il grande magazzino fatiscente ed annerito come le fiamme lo ridussero, in modo da sfruttare le cupe atmosfere enfatizzate a dovere dal connubio tra le sudice scenografie di Joseph C. Nemec III ("Terminator 2-Il giorno del giudizio") e la bella fotografia del collaboratore storico Maxime Alexandre.
Perché, al di là delle splendide sequenze splatter (shockante quella in cui una ragazza muore nella vasca da bagno), suo marchio di riconoscimento, Aja dimostra di conoscere molto bene il mezzo cinematografico, manifestando un modo di trasmettere paura tipico della vecchia tradizione horror, con sfoggio di visioni spettrali difficilmente dimenticabili ed il consueto ricorso all’uso del sonoro per rafforzare i momenti di spavento improvviso.
Fino all’epilogo decisamente sorprendente di un’opera che, a conti fatti, include purtroppo insieme ai pregi anche diversi difetti, dai dialoghi non sempre convincenti alla non troppo originale soluzione del mistero, degna di un b-movie degli Anni Ottanta, testimoniando la mancanza di quel personale tocco che ha provveduto a trasformare istantaneamente in cult le due citate fatiche precedenti.

La frase: "Mi sembra che non sia io a guardare gli specchi, ma che sono loro a guardare me".

Francesco Lomuscio

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