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Ready Player One

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio19 marzo 2018Voto: 8.0
 

  • Foto dal film Ready Player One
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Prima ancora che faccia la sua entrata in scena la mitica quattroruote DeLorean della trilogia “Ritorno al futuro”, è la altrettanto mitica “Jump” dei Van Halen ad introdurre la folle avventura del giovane Wade Watts interpretato da Tye Sheridan, il quale, in un 2045 afflitto da disoccupazione, povertà, sovraffollamento e totale disperazione, si svaga – come la maggior parte dell’umanità – immergendosi nell’intero universo virtuale denominato OASIS.
Un intero universo virtuale in cui gli è possibile essere chiunque, andare ovunque e fare qualsiasi cosa, in quanto gli unici limiti sono rappresentati dalla propria immaginazione; fino a quando, vincendo la prima sfida di una caccia al tesoro che va oltre la realtà, si ritrova catapultato in mezzo a scoperte e insidie assortite per salvare il mondo e OASIS stesso, creato dal James Halliday magnificamente incarnato dal premio Oscar Mark Rylance che, alla sua morte, ne ha lasciato il controllo al trionfatore di una competizione in tre round che aveva progettato per trovare un degno erede.

E se, a proposito della già menzionata saga sui viaggi nel tempo con protagonista Marty McFly, è possibile anche scovare citazionismi musicali (del resto, la colonna sonora è a firma dello stesso Alan Silvestri) e, addirittura, un Cubo di Zemeckis (!!!), non pochi sono gli omaggi alla cultura pop disseminati nel corso delle circa due ore e venti di visione che il Re Mida di Hollywood Steven Spielberg deriva dal bestseller “Ready Player One” di Ernest Cline.
Omaggi alla cultura pop che, tra fugaci apparizioni per l’artigliato Freddy Krueger e per il burtoniano Beetlejuice, non riguardano in maniera esclusiva – come si potrebbe erroneamente pensare – gli anni Ottanta, perché, a proposito di mostri sfornati dalla Settima arte, vengono tirati in ballo anche il T-Rex di “Jurassic park” e il gigantesco ominide King Kong.

Senza contare lo xenomorfo di “Alien”, il gigante di ferro dell’omonimo lungometraggio datato 1999, uno scontro con Mechagodzilla e perfino la storica frase/morale de “La vita è meravigliosa” di Frank Capra: “Un uomo non è un fallito se ha degli amici”.
Tutti distribuiti nell’evoluzione di un fanta-movie che, comprensivo anche di rimandi verbali al videoclip “Thriller” con Michael Jackson, ai Duran Duran, al compianto cineasta John Hughes e all’avventuriero dei fumetti Buckaroo Banzai, in un primo momento rischia di apparire semplicemente in qualità di variopinto e fracassone guazzabuglio a base di veicoli distrutti e frenetiche corse in moto durante il cui scorrimento sullo schermo, appunto, allo spettatore non rimane altro da fare che divertirsi a scovare i vari richiami cinematografici.
Perché è soltanto con l’intensificarsi dell’esperienza di Wade e dei suoi amici chiamati gli Altissimi Cinque che la tensione comincia ad emergere e che, tra un ballo sulle note di “Stayin’ alive” dei Bee Gees e un’esilarante escursione da parodia all’interno dell’Overlook Hotel di “Shining”, comincia a delinearsi quella che intende essere una storia di formazione atta a celebrare i legami dell’amicizia, la scoperta del primo amore e l’accettazione di se stessi e degli altri.

Una storia in cui non mancano neppure la bambola assassina Chucky e una ironica frecciatina al fatto che nessuno riconosca Superman quando indossa gli occhiali di Clark Kent; man mano che la ricca soundtrack sfodera “One way or another” dei Blondie e “We’re not gonna take it” dei Twisted sister e che, con l’azione e il movimento a regnare sovrani, l’autore di “E.T. – L’extraterrestre” si rivela ancora in grado di mettere in piedi un’operazione capace di essere un’avvincente spettacolo per ragazzi (e non solo) e, allo stesso tempo, una affascinante allegoria in fotogrammi mirata sia a condannare il capitalismo quale nemico della creatività, sia a ricordare il bisogno di rimanere ancorati alla pur dolorosa realtà in una società che sembra sempre più propensa ad allontanarvisi pericolosamente.
Ricorrendo sì alle moderne tecnologie che consentono di miscelare motion capture, animazione CGI e live action, ma con il medesimo spirito eighties che gli consentì di trasformarsi nel confezionatore di sogni su pellicola più amato del periodo a cavallo tra il secondo e il terzo millennio.


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