Piano sul pianeta (malgrado tutto, coraggio francesco!)
L’immagine è in bianco e nero e i primi trenta minuti circa di visione sono interamente costituiti da riprese di persone e paesaggi, mentre il sonoro è rappresentato soltanto da rumori naturali e voci in lontananza.
Dedicato al pioniere e maestro del documentario Robert Flaherty, parte così "Piano sul pianeta (malgrado tutto, coraggio Francesco!)" di Fabrizio Ferraro, secondo di tre film previsti sul nome comune dell’umano, che arriva un anno dopo "Je suis Simone (la condition ouvrière)", il quale, attraverso l’esperienza in fabbrica di Simone Weil, ha esplorato l’Ile Seguin, isola dove un tempo era situata la fabbrica della Renault e che oggi è il cantiere per il futuro quartiere residenziale dell’arte e della scienza.
Questa volta lo scenario d’ambientazione è il Manicomio di Santa Maria della Pietà, nella periferia nord di Roma, dove alcune persone non possono uscire dal parco e non possono entrare nei vecchi padiglioni.
Persone che Ferraro fa parlare poco e solo attraverso il pensiero, senza mai fargli aprire le bocche, immergendo in maniera realistica lo spettatore in un certo universo di follia, complici anche i silenzi e le lunghe inquadrature fisse.
Un universo di cui si respira fortemente anche la solitudine, mentre viene esplorato e mappato il comprensorio attraverso un’ora e venti di montato che, a metà strada tra il documentario e il film cosiddetto d’autore, non rientra certo tra i prodotti cinematografici destinati al pubblico comune.
Ora e venti di montato che, in attesa del terzo tassello, per il quale pare che Ferraro si stia preparando a salpare in mare in compagnia di Ishmael alla ricerca di Moby Dick, vuole essere un vero e proprio documento sullo strabismo e sulla potenza virtuale del cinema, oltre che un film sull’archeologia del futuro in cui non si danno risposte e non si indica una strada, ma un’apertura alla vita, al respiro, all’esserci.
Infatti, il regista spiega: "E’ un film che, guardando attraverso la condizione di prigionia, riesce a costruire dei varchi, aperture tali da erodere questo dispositivo fino alla sua esplosione. Il film, quindi, prende una (non)direzione molto diversa dagli altri ben noti usciti in questo anno, che hanno avuto la pretesa di raccontare la storia, la violenza e la sofferenza del manicomio e che, loro malgrado, in questa narrazione hanno costruito altre prigioni. Finalmente, qui si respira la vita nell’attimo in cui attraversa quei luoghi".

La frase:
- "Perché non uscite?"
- "Perché non usciamo? Noi non possiamo uscire, nessuno lo capisce, ci obbligano a rimanere sparsi senza far nulla".

Francesco Lomuscio

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