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Per non dimenticarti
"La storia che abbiamo voluto raccontare si svolge a Roma nel 1947, quasi esclusivamente all'interno di un reparto maternità. La guerra è finita da poco, il paese reca ancora gli atroci segni dei bombardamenti. Le angherie, la fame e le atrocità del conflitto appaiono impresse in maniera ancora più evidente ed ineluttabile nel carattere delle nostre protagoniste, nove donne in attesa di partorire. Ognuna di esse porta con sé la propria personale esperienza e il vissuto di quegli anni cupi".
Con queste parole, Mariantonia Avati, figlia dell'osannato (pure troppo) Pupi, riassume la trama di "Per non dimenticarti", sceneggiato dal fratello Tommaso ("La prima volta"), suo primo lungometraggio per il grande schermo che, in un anno di celluloide in cui abbiamo avuto modo di vedere titoli del calibro dell'americano "In her shoes - Se fossi" lei di Curtis Hanson e lo spagnolo "Volver" di Pedro Almodóvar, si lascia quasi interpretare come l'esempio tricolore targato 2006 di un cinema tutto al femminile.
L'esperienza grandiosa ed al contempo spaventosa della maternità viene infatti vissuta dalla giovane Nina, ricoverata in anticipo per via di alcune complicazioni ed ottimamente incarnata dalla bella e brava Anita Caprioli ("Manuale d'amore"), all'interno di una camerata in cui vige un clima di reciproco supporto e grande solidarietà, tra storie di difficoltà e privazioni, di abbandono e di tradimenti, di amore e passioni, nel contesto di un triste periodo storico nel quale perfino una nevicata assumeva le fattezze di un evento molto speciale.
Ma sono proprio quei fittizi fiocchi di neve che cadono dal cielo, aggiunti all'innumerevole quantità di interni, a conferire all'esordio su pellicola della Avati l'aspetto di un'operazione che avrebbe funzionato sicuramente meglio in forma di spettacolo teatrale, considerando anche la non poca importanza che assume nel corso della narrazione il lavoro del cast, nel quale spicca, tra una Enrica Maria Modugno ("Animali che attraversano la strada") ed una Francesca Antonelli ("Stai con me"), una sorprendente Emanuela Grimalda ("Febbre da cavallo" - "La mandrakata") negli insoliti "panni drammatici" della sfortunata Margherita. E, tra santi tirati verbalmente in ballo che lasciano intravedere l'impronta cattolica di scuola avatiana e la presenza forse evitabile di noti personaggi del cabaret come Lillo (Pasquale) Petrolo e Alessandro Di Carlo, i quali ricoprono comunque dignitosamente i rispettivi ruoli di Eugenio e Bruno portando al tutto una ventata d'indispensabile ironia romanesca, l'aria che si respira, ulteriormente accentuata dalla partecipazione di Ettore Bassi e Massimo Bonetti, eroi di "Carabinieri" e "La squadra", è in realtà quella di una fiction televisiva. Una fiction che, con qualche minuto in meno, sarebbe potuta risultare almeno senza infamia e senza lode, ma che si ritrova invece ad essere già sarcasticamente definita da qualcuno come una puntata di un ipotetico "Partorienti disperate".
La frase:
- "Hai avuto un incidente? Di che tipo?"
- "Accidentale".
Francesco Lomuscio
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