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Parla con lei
Indubbiamente, che piacciano o meno, i film di Almodovar hanno una grande peculiarità: emozionano. "Parla con Lei" ubbidisce a questa regola e nel tumulto generale di sentimenti, gioia, tristezza, disperazione e stupore, alla fine ci lascia un messaggio positivo.
Una storia, anzi più storie che si intrecciano e si sovrappongono diventando alla fine un unico affresco. Marco (Dario Grandinetti) e Benigno (Javier Camara) si incontrano la prima volta, casualmente, a teatro, sono semplicemente seduti uno vicino all'altro, ma il destino ha in serbo per loro qualcosa di più: una indissolubile amicizia nata sotto il segno della tragedia. Marco si innamora, anche qui casualmente, di Lydia (Rosario Flores) una torera, ma questa durante una corrida rimane gravemente ferita e resta in coma. Lydia verrà ricoverata nella clinica "El Bosque" dove Benigno lavora come infermiere ed accudisce Alicia (Leonor Watling), anche lei in coma in seguito ad un incidente.
La situazione in comune, le lunghe giornate passate al capezzale delle due donne, crea un forte legame tra Marco e Benigno che inizieranno a condividere molto di più del tempo passato nella clinica.
La pellicola di Almodovar non si limita ad esplorare il rapporto uomo donna, né, come fa di solito, ad indagare sull'universo femminile, questa volta sono gli uomini ad essere sotto il microscopio, ma non solo: la solitudine (non a caso Marco si definisce per ben due volte un uomo "solo"), l'incomunicabilità e la capacità di affrontare una situazione tanto drammatica da risultare insostenibile. Un film sulle possibilità terapeutiche della conversazione, non tanto per chi sta in un letto, ma per chi gli sta accanto che può usarle come valvola di sfogo, come forma di autoanalisi. Anche la follia maniacale di Benigno e le sue azioni, sicuramente condannabili, nel contesto del regista spagnolo diventano quasi giustificabili.
Al di la dell'incredibile bravura dei protagonisti (dato che non è così facile interpretare un malato in coma), lo stesso Almodovar ci ribadisce il suo genio non solo come autore, ma anche come regista, utilizzando un montaggio con dei flashback, a lui poco consono, ed inserendo un breve cortometraggio muto come metafora degli eventi che si stanno concretizzando e come passaggio narrativo dal primo blocco, introduttivo, al secondo, risolutivo.
La frase: "Mi ha chiesto se sono frocio, ma ha usato la formula americana, che è più fine: qual'è il tuo orientamento sessuale?"
La chicca: "Tutto su Mia Madre" terminava con un sipario che si apriva su una scena buia, qui il film inizia mentre si apre il sipario.
Curiosità: il breve cortometraggio muto in bianco e nero, è ricavato da un'apposita sceneggiatura scritta dallo stesso Almodovar, ben più complessa dei sette minuti che si vedono sul grande schermo.
Indicazioni: Per chi crede che il cinema debba suscitare qualcosa nello spettatore.
Valerio Salvi
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