Chiamata senza risposta
Tratto dal romanzo "Chakushin Ari" del famoso scrittore giapponese Yasushi Akimoto e datato 2003 (ma da noi arrivò solo nell’estate successiva), "The call-Non rispondere", miscuglio di idee già sfruttate in "The ring", "Phone", "Ju-On" e "Final destination", è stato da molti definito come uno dei meno riusciti lavori del prolifico Takashi Miike, probabilmente perché privo di quella cinica rappresentazione della violenza che ha finito per trasformarsi nel marchio di fabbrica dell’autore di "Ichi the killer".
Dopo i sequel "The call 2" e "The call-Final", rispettivamente diretti da Renpei Tsukamoto e Manabu Asou, la vicenda torna sullo schermo in una produzione a stelle e strisce la cui regia, però, è stata affidata al francese Eric Valette, già autore, tra l’altro, dell’horror "Maléfique".
Come nel film originale, quindi, si parte da due giovani che si ritrovano il destino negativamente segnato dopo aver ricevuto nella segreteria telefonica del cellulare messaggi in cui sentono le loro voci nel momento della morte, al quale finisce per assistere l’amica Beth, con il volto della Shannyn Sossamon di "40 giorni e 40 notti".
Tra ossessive suonerie e cellulari che continuano a squillare anche quando privati di batteria, si prosegue con le indagini portate avanti dalla ragazza insieme al detective Jack Andrews, interpretato dall’Edward Burns di "27 volte in bianco", mentre abbiamo modo di assistere anche ad un’apparizione non accreditata della lynchana Laura Harring (è la madre di Beth).
Apparizione sicuramente più rassicurante di quelle degli inquietanti spettri che, insieme ad insetti striscianti digitalmente ricreati, tempestano un’operazione senza infamia e senza lode basata sì sul consueto uso del sonoro volto a generare spaventi spesso telefonati (tanto per rimanere attinenti all’argomento), ma pregevolmente confezionata ed impreziosita dai buoni effetti speciali di trucco supervisionati dal Brian Walsh del terzo "X-Men".
Del resto, con una spiegazione finale decisamente più chiara rispetto a quella incomprensibile fornita da Miike, il suo scopo, come tutti i remake americani di ghost-story dagli occhi a mandorla, è principalmente quello di portare gli spettatori occidentali a conoscenza di storie e tipologie di spettacolo a loro lontane.
Non a caso, lo sceneggiatore Andrew Klavan osserva: "Mentre l’idea di "Chiamata senza risposta" va oltre le barriere linguistiche e culturali, il film originale è rivolto a un pubblico che si presuppone consapevole delle leggende metropolitane giapponesi e di altre tradizioni soprannaturali specifiche, che invece pochi americani conoscono. Questo mi ha spinto ad adattare alcuni elementi in immagini e idee più significative e terrorizzanti per il nostro pubblico".

La frase: "Io non credo in niente, ma da quando ho ricevuto questa chiamata sono successe cose strane".

Francesco Lomuscio

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