Non escludo il ritorno
“Io invecchierò solo cinque minuti prima di morire”.
È la didascalia che precede i titoli di testa sulle immagini immortalate dall’interno di un’automobile in cammino e dal cui specchietto retrovisore, come nello scorsesiano “Taxi driver” (1976), possiamo scorgere gli occhi del guidatore.
Le immagini sporche e sbollate di una Roma che non è quella luccicante ed intellettuale di tante “grandi bellezze” spacciateci per tali dal sempre più radical chic universo della celluloide tricolore d’inizio XXI secolo, bensì la Città eterna del(l’in)dimenticato cantautore Franco Califano, come suggerisce ulteriormente il commento musicale affidato alla sua “Tac”.
Il Franco Califano semplicemente ed affettuosamente conosciuto come Califfo, convinto che tradire una donna era anche tradire la propria scelta e secondo il quale si scriveva “solitudine” ma si leggeva “libertà”.
Il Franco Califano di cui Stefano Calvagna, cineasta capitolino spesso dedito a lungometraggi intrisi di denuncia sociale (“L’uomo spezzato” e “Cronaca di un assurdo normale” nel curriculum), racconta su schermo quella che possiamo definire la sua “terza vita”, dal declino alla rinascita, fino alla scomparsa, avvenuta nel Marzo 2013.
Una “terza vita” intervallata da ricostruzioni dell’ultimo concerto di colui che ci ha regalato melodie immortali del calibro di “Tutto il resto è noia” e “Minuetto”; mentre non solo lo vediamo alle prese con un’intervista in casa e impegnato ad affrontare in maniera esilarante una conferenza stampa presso il Festival di Sanremo, ma lo troviamo anche contornato di fondamentali personaggi quali il poco scaltro impresario Stefano, il grande amico di vecchia data Giuliano, Luna, che si occupa di accudirlo, e il road manager Ivano, rispettivamente interpretati da Enzo Salvi, Franco Oppini, Nadia Rinaldi e lo stesso regista.
Senza contare il Michael Madsen de “Le iene” (1992) nei panni di Paul Hummel, organizzatore di eventi a livello internazionale che ha grossi progetti per l’artista, incarnato in maniera magistrale dal cantante ed imitatore Gianfranco Butinar, qui alla sua prima prova d’attore.
Una lodevolissima performance che rappresenta soltanto uno dei pregi dell’operazione, cui, al di là del curato lato tecnico e dell’ottimo lavoro svolto sulle musiche da Paolo Vivaldi, giova soprattutto, paradossalmente, la pochezza di mezzi e di budget avuti a disposizione.
Perché è proprio la costrizione a ristretti campi di ripresa e all’esiguo numero di location a evocare al meglio il forte velo di poetica malinconia trasmesso dall’emarginazione di un personaggio scomodo per la falsità del mondo dello spettacolo, ma sempre convinto che sconfiggi la vittoria se sorridi alla sconfitta.
Pensiero che sembra calzare a pennello anche per Calvagna, il quale, in barba a pregiudizi e critiche esageratamente negative rivolte ai propri precedenti lavori, firma in questo caso la sua opera più riuscita.
La frase:
"Per molti l’alba è l’inizio del giorno, per me è la fine della notte".
a cura di Francesco Lomuscio
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