Non desiderare la donna d'altri
"Non desiderare la donna d'altri" ("Brodre", nel titolo originale, distribuito un po' ovunque come "Brothers") si presenta al pubblico italiano come il classico film di nicchia proveniente dai festival.
Il film della danese Susanne Bier, pur connotandosi effettivamente come opera più da kermesse che da grande distribuzione rivela sottotraccia un ampio respiro e una ricerca di senso che lo sgancia da una pura ottica d'essai per rendere il film qualcosa di più.
La Bier fonda l'architettura del suo lavoro sul classico triangolo amoroso, un gioco di relazioni e passioni tutto sussurrato, pudico. Quando Michael (Ulrich Thomsen) sarà dato per morto in Iraq, lo scapestrato fratello Jannik riuscirà sorprendentemente a dimostrare di saper star vicino alla famiglia di lui, avvicinandosi in modo timido, quasi infantile, a Sarah (Conie Nielsen), la presunta vedova. Il ritorno di Michael segnerà un profondo cambiamento nei rapporti familiari.
Il quadro intimo e circoscritto come quello della famiglia del soldato danese viene disegnato con tratti secchi e decisi, non lasciando nulla al caso, ma valorizzando con sottile bravura gli aspetti caratterizzanti di ogni personaggio, senza per questo farli ricadere in scialbi stereotipi.
La tematica dei rapporti familiari, ben radicata in un certo tipo di cinema danese (basti pensare al "Festen" di Vitenberg) viene contaminata e compenetrata dal riflesso che su di essa ha la guerra. Un riflesso indiretto eppur tangibilissimo, concreto come è concreta la cucina che viene distrutta, scena madre sommessa e garbata nei modi, quanto urlata e disturbante nei toni. Ed è proprio in questa scena che s'incardina tutta la ricerca del film, teso e rimpallato tra costruzione e distruzione, tra affetto e ribrezzo, tentativi e rinunce. La fotografia tende molto al naturale, a smorzare i toni in un misto di beige e seppia tipici di un ultimo periodo del cinema danese. E tipicamente derivante dalla "scuola del Dogma" è l'uso della macchina a spalla per buona parte del film, in una ricerca continua ma non ossessiva di andare a stringere sull'attore, sul particolare. Un film estremamente in linea con una tendenza di cinema che segue le orme già ricalcate da Lars von Trier, ma che se ne distingue in modo sommesso ma fermo, facendoci percepire quel tocco di personalità femminile inconfondibile.
Un film che trasforma la potenza in atto con una maestria e un tatto sorprendenti.

La frase: "- Ma papà è morto un'altra volta? - Mica si può morire più d'una volta! - E invece si può.."

Curiosità: il film è stato premiato al Festival di San Sebastian con i riconoscimenti per Miglior Attore a Thomsen e Miglior Attrice alla Nielsen. Premio del pubblico al Sundance Festival 2005.

Pietro Salvatori

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