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Natale a Rio
Dopo la trasferta 2007 sull’acqua di "Natale in crociera", in occasione del suo venticinquesimo compleanno il cinepanettone Filmauro torna sulla terraferma, introdotto da titoli di testa proto-007 con tanto di silhouette dei vari componenti del cast.
A Rio de Janeiro, per la precisione, dove il "palazzinaro" Paolo (Christian De Sica) ed il professore universitario Mario (Massimo Ghini), entrambi divorziati, convinti di trascorrere la lussuosa vacanza organizzata, finiscono tra i pulciosi ostelli e le strade più malfamate del posto a causa dell’omonimia con i figli Piero (Ludovico Fremont) e Marco (Emanuele Propizio), i quali, prenotato il viaggio low-cost erroneamente scambiato con i padri, si ritrovano invece a godere sfarzose ville ed automobili superaccessoriate.
Ma anche dove Fabio (Fabio De Luigi), segretamente innamorato della collega Linda (Michelle Hunziker), si trova costretto a fingere di essere il suo futuro marito davanti al padre di lei, scopertasi tradita dal fidanzato Gianni (Paolo Conticini).
Quindi, con il Paolo Ruffini di "Natale a Miami" e "Natale a New York" rilegato questa volta nel ruolo minore di un impiegato dell’agenzia di viaggi, da un lato si punta sulle esilaranti incomprensioni linguistiche generate dall’incontro tra la natura cafona del mattatore De Sica ed il linguaggio estremamente colto sfoggiato da Ghini (la crasi confusa per flatulenza è già un tormentone), drasticamente alle prese anche con puzzolenti bagni pubblici, spinosi cactus e magia Voodoo, mentre dall’altro si privilegia un ironico clima romantico alla "Ti presento i miei" dominato da un ottimo De Luigi in vena di comicità fisica non lontana da Jerry Lewis e Leslie Nielsen.
Non a caso, al di là delle movimentate avventure giovanilistiche di Propizio e Fremont, le cui mamme fresche di ritocchi estetici sono a loro insaputa in agguato, il regista Neri Parenti – che si concede anche una comparsata hitchcockiana in aeroporto – non esita a tirare in ballo elementi tipici della risata su pellicola a stelle e strisce (si pensi alla gag demenziale che vede coinvolta una povera gattina), senza dimenticare un paio di frecciatine al nostro Federico Moccia (i titoli dei suoi romanzi citati in un messaggio di De Luigi e la diciannovenne amante di Ghini che si chiama Sara Quattrociuffi anziché Michela Quattrociocche).
Fino all’assurda ma originale conclusione metacinematografica di circa 113 minuti tutt’altro che noiosi che, su sceneggiatura dello stesso Parenti in collaborazione con i fidi Alessandro Bencivenni, Marco Martani e Domenico Saverni, svolgono in maniera efficace il proprio dovere: divertire a sufficienza lo spettatore.
La frase: "Guarda mia cara che le tette sono come le bugie: più sono grosse e più funzionano".
Francesco Lomuscio
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