Lo stravagante mondo di Greenberg
Single, carpentiere e prossimo ai 41 anni Roger Greenberg vive una crisi personale: non sa cosa fare della propria vita e il rimpianto delle scelte che fece in passato nonché un futuro che non lascia promettere nulla di entusiasmante, lo portano ad attraversare gli Stati Uniti, da New York a Los Angeles, per tornare lì dove era cresciuto. Roger deve occuparsi della casa e del cane mentre la famiglia del fratello è andata via per una lunga vacanza. Nel frattempo cerca di rimettersi in contatto con le vecchie amicizie, ma soprattutto stringe un particolare legame con l’assistente persona del fratello, la venticinquenne Florence. Anche lei, come Greenberg, è arrivata ad un punto della propria esistenza in cui deve capire chi vuole essere e cosa vuole fare. Per entrambi è un momento di disorientamento e riflessione simile, seppur differito, in termini d’età, di quindici anni. Come li cambierà la reciproca conoscenza?
A scrivere (assieme all’attrice Jennfer Jason Leigh) e dirigere "Greenberg" è Noah Baumbach, giovane sceneggiatore e regista dallo stile già molto riconoscibile. E’ grande amico di un’altra "firma" originale come Wes Anderson, assieme a lui ha scritto film come "Le avventure acquatiche di Steve Zissou" e "Il talento di Mr.Fox", mentre da regista ha firmato gli originali (e nel primo caso anche bello) "Il calamaro e la balena" e di "Il matrimonio di mia sorella".
Il suo umorismo latente, spesso quasi grottesco, vive di sfumature, di tempi dilatati in cui ogni tanto viene affondata una zampata di umorismo capace di giustificare le attese, i no-sense e l’imperante malinconia precedenti. Questa sovrastruttura viene riproposta anche in Greenberg: l’intero film è incentrato su un uomo silenzioso, depresso, per certi versi strano, e sullo stesso piano si muove il personaggio di Florence. Si capisce fin dall’inizio che nel corso del film la loro situazione si svilupperà, almeno un poco, in termini positivi, ma il modo con cui Baumbach lo racconta è così lento e avaro di qualsiasi umorismo che anche l’ambita profondità della sceneggiatura finisce nel disperdersi in un grande sbadiglio. Come alcuni dei peggiori (in quanto ambiziosi) film indipendenti americani, si lavora in sottrazione, esagerando però le doti di sopportazione di chi assiste. Non aiuta, del resto, la scelta di dare a Ben Stiller il ruolo di Greenberg (mentre è perfetta la scelta della semisconosciuta, ma luminosa, Greta Gerwig). Per quanto l’ex Zoolander sia bravo, e ce la metta tutta, sulla sua interpretazione pesa un grande equivoco: siamo soliti vederlo nei panni di un personaggio passivo, ma normalmente quel personaggio passivo, superato un certo limite di sopportazione, scoppia e ne combina di tutti i colori. Qui invece è come assistere ad una preparazione di un piatto che poi non viene servito: Greenberg non reagisce e rimane inerme e trasparente davanti ogni situazione. Non si ride per niente e si crea così una continua attesa verso un apice di ritmo logicamente disillusa da una regia che ha altri obiettivi narrativi.
Inizialmente la parte di Greenberg doveva andare a Mark Ruffalo e il passaggio d’età su cui era puntata la storia era quello dai 30 ai 31 anni. Probabilmente ne avrebbe guadagnato il godimento e la comprensibilità della storia.

La frase: "Tu mi piaci molto più di quanto tu pensi di piacermi".

Andrea D'Addio

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