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Lo scafandro e la farfalla
Dopo una luce bianca, accecante, entrano in scena dei volti che parlano guardando direttamente nell’obiettivo della macchina da presa, quindi, verso gli spettatori; apprendiamo immediatamente che si tratta di medici intenti a spiegare al paziente di turno, attaccato a delle macchine che lo aiutano a respirare in una stanza d’ospedale, la situazione: “Inutile girarci intorno: lei è paralizzato dalla testa ai piedi”.
Inizia così il racconto su celluloide della triste, vera odissea dello scomparso Jean-Dominique Bauby, tratto proprio da un suo romanzo, dinamico e carismatico direttore di ELLE Francia che, vittima di un ictus devastante all’età di 43 anni, si ritrova intrappolato nel suo stesso corpo, da lui denominato scafandro, in grado di comunicare con il mondo esterno soltanto attraverso il battito della palpebra sinistra, mentre, ancora capace di sentire, ricordare e capire, provvede a costruirsi un ricco universo interiore per mezzo dell’immaginazione e della memoria, ribattezzate la farfalla.
E, affiancato da un cast comprendente nomi del calibro di Emmanuelle Seigner (“La vie en rose”) e Max Von Sydow (“L’esorcista”), è l’ottimo Mathieu Amalric (“L’histoire de Richard O”) a concedere anima e corpo al povero protagonista, impegnato ad apprendere un alfabeto completamente nuovo che codifica le lettere più frequenti del vocabolario francese, della cui sofferenza il regista Julian Schnabel (“Basquiat”) ci rende partecipi in prima persona, ricorrendo sia a numerose soggettive che a un’onnipresente voce fuori campo.
Senza mai scadere nel facile sentimentalismo, fortunatamente, tirando anzi in ballo perfino un pizzico d’ironia, mentre una nutrita colonna sonora che spazia da U2 a Tom Waits, passando per Joe Strummer e Lou Reed, non risulta affatto invadente, volta ad accompagnare le belle immagini illuminate dalla fotografia dello spielberghiano Janusz Kaminski (vincitore del premio Oscar per “Schindler’s list-La lista di Schindler” e “Salvate il soldato Ryan”).
Fino al termine di circa 112 riuscitissimi minuti di visione che non solo sembrano invitarci a sfruttare tutte le occasioni della vita finché essa ce lo rende possibile, ma si presentano come vero e proprio elogio su pellicola al magnifico potere dell’immaginazione, pur rendendoci amaramente consapevoli del fatto che, per quanto efficace strumento di evasione dalla realtà, la concretezza di quest’ultima finisca in ogni caso per soffocarla.
Non a caso, si è aggiudicato il Golden Globe per il miglior film straniero e la miglior regia, premiata anche al Festival di Cannes.
La frase: "Ho appena scoperto che a parte il mio occhio ho altre due cose che non sono paralizzate: la mia immaginazione e la mia memoria".
Francesco Lomuscio
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