Le avventure del topino Desperaux
Il Topolino di Walt Disney ha dato il via al cinema d’animazione per come noi lo consociamo, e per anni è stato quasi impensabile per la concorrenza disegnare altri credibili roditori. A parte Topo Gigio, che è un fenomeno italiano e comunque nasce come pupazzo, e i comunque disneyani Bianca e Bernie, il primo a sfidare Mickey Mouse per il primato di topo più famoso fu nel 1986 Steven Spielberg quando produsse "Fievel sbarca in America" (diretto dal grande Don Bluth). Da lì in poi il monopolio dei cartoni animati con protagonisti questi animaletti tanto ripugnanti in città, quanto spesso addirittura addomesticabili nelle migliori campagne, fu rotto: altre tre avventure di Fievel, un lungometraggio su Tom e Jerry e, andando direttamente agli ultimi anni, l’inglese "Giù per il tubo" e lo straordinario Pixar "Ratatouille".
Despereaux e le sue avventure, tratte dal libro best seller di Kate Di Camillo (pubblicato nel 2003) sono gli ultimi arrivati in tal senso, e intelligentemente cercano una propria strada narrativa lontana dai suoi predecessori. Sì, l’inizio in cucina ricorda tanto "Ratatouille", ma confrontando le date (libro-film Pixar) sembra quasi una casualità. L’ambientazione fantasy medievale, i continui riferimenti iconografici non solo alle illustrazioni cavalleresche di quell’epoca, ma anche a luoghi carichi di atmosfere (come la Grand place di Bruxelles, ma anche le figure di Botero, e "I viaggi di Gulliver"), ne fanno prima di tutto un film curato e interessante dal punto di vista estetico. Gli stessi topi che popolano il racconto, tutti diversi e ben "antropomorfizzati", riescono già dalla fisionomia, o da piccoli dettagli del muso, a far percepire il proprio carattere. Tanti accorgimenti che fanno di "Le avventure del Topino Desperaux" un film curato e affascinante, su cui si inserisce una storia matura: favola, ma non avara di momenti e personaggi ambigui e violenti, alla fratelli Grimm per intenderci (o da primo Walt Disney). Dalla serva abbandonata dal papà al gatto, non mancano i momenti di tensione, ma ciò non toglie che il pubblico più giovane non possa apprezzare, e capire (forte è il concetto di avventura e scoperta di sé stessi, dei propri limiti), la pellicola, così come faranno i più grandi.

La frase: "Un ratto è un ratto, non importa da dove viene".

Andrea D’Addio

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