Last life in the universe
Ci sono tante piccole e grandi ossessioni nella vita di Kenji (Asano Tadanobu, protagonista dell'ultimo film di Takeshi Kitsao "Zatoichi"). C'è l'ossessiva ricerca dell'ordine perfetto dove regna l'imperativo "ogni cosa al suo posto ed un posto per ogni cosa". C'è la maniacale ossessione per la pulizia, l'igiene ad ogni costo. Piccole stranezze se raffrontate all'istinto suicida che quotidianamente conduce Kenji, giovane bibliotecario giapponese trapiantato in Thailandia, a tentarlo in tutti i modi senza mai però riuscirvi per l'intervento, casuale, (ma quanto casuale ?), di parenti ed amici.

"Last life in the universe" presentato nella sezione Controcorrente della 60° Mostra del Cinema di Venezia, racconta di un suicidio mancato, grazie al sacrificio inconsapevole di Nid (Laila Boonyasak), che diventa il punto di partenza per la nascita di una nuova esistenza o di un nuovo universo, se volete. Kenji, il miracolato, conoscerà Noi (Sinitta Boonyasak), sorella di Nid. Creerà per Noi una vita nuova, dove l'ordine e la pulizia ben si fonderanno con l'assoluta sciatteria e trascuratezza della ragazza, grazie ad una naturale e salutare osmosi tra le due personalità.

Il film, diretto dal regista thailandese Pen-Ek Ratanaruang, miscela con intelligenza, elementi classici del cinema orientale con particolari di violentà modernità. Il regista, caratterizzato da un divertito gusto per il grottesco, è incline però ad una narrazione attentissima ai particolari, quasi ossessiva come la psicologia del suo personaggio, che si traduce in una narrazione lentissima fino alla statiticità delle immagini, e delle emozioni. La mano delicatissima del direttore, che non si può non apprezzare, come non si può non notare la perenne cura della luce e della fotografia, (una dominante blu attraversa tutta l'opera), si impantana, purtroppo, in momenti terribilmente privi di accadimenti che solo la bellissima musica posta a commento riesce a lenirne la faticosa sopportazione.

D'altronde, la cinematografia d'autore, soprattutto di matrice orientale, spesso è connotata da queste caratteristiche. Tutto sommato ne vale la pena se si vogliono gustare attimi di impalpabile magia e dialoghi mai fuori posto come "Questa è la felicità assoluta" scritto sul biglietto dell'aspirante suicida Kenij.

Daniele Sesti

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