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La Quinta Stagione









Due ragazzi, Alice e Thomas, si innamorano in un villaggio della campagna fiamminga. Poco dopo, il rituale in cui viene arsa l'effige dell'inverno non va a buon fine. A poco a poco i cicli naturali iniziano ad alterarsi.

Il nuovo film del duo Brosens e Woodworth esplora il rapporto tra uomo e natura in termini di disequilibrio. Non è una specie di dramma ecologista in cui l'uomo viene processato per la noncuranza con cui tratta la natura. L'operazione dei due registi è molto più sottile e porta in sé dei rimandi molto più ancestrali della nostra realtà quotidiana. La natura qui è vista come un'entità indomabile e implacabile, al di là del controllo umano. La natura è anche ostile ma non in modo diretto. Lo è piuttosto con la sua passività e indifferenza ai bisogni dell'uomo. In realtà c'è qualcosa di estremamente leopardiano dietro a questa pellicola.

Già l'idea di una "quinta stagione" prevede una violazione delle regole e della ripetizione dei cicli vitali, che subiscono un'interruzione. Al principio del film gli uomini fanno dei richiami e gli uccelli del cielo rispondono. A questo idillio iniziale segue il silenzio e il gelo, una fissità, una mancanza di movimento che confina con l'estinzione. Il rimedio sacrificale sembra l'unico, ma ha anch'esso una componente illusoria.

La cinqueme saison si distingue per la estrema pulizia delle immagini, in termini di composizione e di potenza icastica (ogni quadro è un dipinto dalla forte componente simbolica), in cui la chiarezza dell'esposizione si unisce a una grazia estetica difficile da eguagliare.

La frase:
"Preferisco essere l'uomo del paradosso piuttosto che l'uomo del pregiudizio".

a cura di Mauro Corso

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