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Italo











Conoscete il detto che, a volte, gli animali sono migliori delle persone? Beh il film “Italo” di Valeria Scarso prova a dimostrarlo e sicuramente l’attore più in parte è sicuramente proprio il cagnolone adottato dal paese siciliano Scicli dove si svolge la vicenda. Il film è una cartolina della splendida regione del sud Italia, con i suoi paesaggi naturalistici in grado di emozionare. Purtroppo la sceneggiatura non rende giustizia alla location, con dei buchi e dei passaggi ai limiti del comico. Basti pensare al sindaco Marco Bocci che se sa dire bene “amunia” già è qualcosa, forse era meglio scegliere degli interpreti più ferrati con il dialetto. Particina anche per Barbara Tabita, che nel ruolo della sfidante al simbolo sex symbol risulta a tratti addirittura irritante. La cosa più sorprendente è che la vicenda è tratta da una storia vera ed è uno spot al rispetto e all’amore per gli amici a quattro zampe.
Italo Barocco, questo il nome del cittadino onorario più famoso dell’isola, potrebbe essere considerato un commissario Rex più bonaccione, ma oltre a salvare una barista da un maldestro tentativo di stupro fa ben poco di eroico. Italo è un semplice randagio di paese: partecipa a funzioni religiose, accompagna i bambini a casa e passeggia per la stazione. Nella routine tipica di questi angoli di paradiso anche non vederlo per un solo pomeriggio provoca la reazione spropositata dei piccoli abitanti. Sarà proprio per ritrovare tre di questi, tra cui il piccolo Memo figlio del sindaco, ormai una sorta di padroncino per il meticcio color miele, che entrerà definitivamente nel cuore dei paesani facendo dimenticare le passate problematiche legate al randagismo.
I tratti più interessanti sono quelli culturali, come la tradizionale festa siciliana delle Milizie, ma purtroppo sono davvero troppo brevi e per arrivare alla fine del lungometraggio senza che lo spettatore non distolga la sua attenzione. Non ti prende, non ti trascina e forse non è neanche per bambini. Un’opera molto più pertinente al piccolo che grande schermo, poteva essere sicuramente inserita in un contesto televisivo contro il maltrattamento degli animali e viaggiare su un veicolo in grado di sensibilizzare maggiormente. La cosa peggiore però è il finale da happy ending che non fa altro che appesantire l’opera, già di per se fragile nella sua struttura narrativa.
“Italo” forse partiva con l’intenzione di essere "l’Hachiko” italiano o nel finale una riproposizione di “Io e Marley”, ma l’intento era alquanto utopistico e il risultato niente di più opposto. Un vero peccato per quello che poteva essere e non è stato, sicuramente non ci affezioneremo a differenza del paese che ha adottato questo dolcissimo cane.

La frase:
"In un luogo d’incanto 27 mila anime che giocano, 27 mila anime che lavorano, 27 mila anime che si amano…e una che scodinzola".

a cura di Thomas Cardinali

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