Io sono l'amore
Il regista Luca Guadagnino torna a dedicarsi al lungometraggio al Festival di Venezia nella sezione "Orizzonti" con la sua nuova fatica, "Io sono l’amore" in cui torna a lavorare con Tilda Swinton che oltre ad essere l’interprete principale è anche la produttrice.
Accanto all’attrice vincitrice dell’Oscar come migliore attrice non protagonista in "Michael Clayton" si muovono attori come Alba Rohrwacher, Marisa Berenson, Flavio Parenti, Edoardo Gabbriellini, Pippo Delbono, Maria Paiato, diane Fleri e Waris Ahluwalia. E’ un’osservazione distaccata della storia professionale e umana degli esponenti di una famiglia di industriali milanesi appartenenti all’alta borghesia, i Recchi. Sono passati anni da quando il primo Recchi ha creato la sua fabbrica e facendo accordi prima con il Regime Fascista poi con gli Alleati è riuscito a farla crescere e prosperare arricchendo la sua famiglia, ma ora è tempo di lasciare le redini in mano al figlio e ad uno dei suoi tre nipoti. In questo scenario di eleganza, raffinatezza, snobismo e ricchezza, dietro questo drappo colorato dell’apparire si celano segreti e tradimenti.
La storia è stata già variamente trattata, sia al cinema, ma soprattutto nelle commedie e drammi americani a teatro e ancora una volta sono riproposti gli stessi elementi, anche se miscelati in maniera del tutto diversa e personale. Qui la protagonista è Emma, un’elegante signora di origine russa, figlia di un restauratore e ora madre premurosa e gentile che rimane sconvolta nel sapere per caso che sua figlia è lesbica, ma alla fine lo accetta. La sua vita è incentrata completamente sulla famiglia, sul marito e sui figli e tutto sembra scorre placido e tranquillo finché un bel giorno il figlio Edoardo, successore designato dal nonno, non porta in casa il suo amico Antonio, un giovane cuoco con cui sta tentando di realizzare il progetto di aprire un ristorante. E’ l’inizio della "tragedia" o almeno del cambiamento nella vita di Emma, infatti, i piatti cucinati da Antonio acquistano un forte valore simbolico per lei, in qualche modo la prigione dorata in cui si era rinchiusa volontariamente sposando un Recchi si va sgretolando velocemente. Le ricette preparate con arte da Antonio, i gustosi piatti diventano un elemento purificatore e causando un risveglio della donna e del suo desiderio. La passione di Emma si scatena e dopo un flebile e vago tentativo di reprimerla ecco scoprire finalmente la libertà, la felicità e la bellezza del mondo. La loro felicità è destinata però a finire e la tragedia è dietro l’angolo... Lo stile di certo non manca al regista ed è apprezzabile la sua attenzione per il particolare, il suo gioco di metafore e di simboli: prima la telecamera si sofferma su ambienti e su oggetti di arredamento, tutti interni vuoti, poi, al momento della passione e dell’amore fra Emma e Antonio, l’attenzione si sposta alternativamente dalla coppia di amanti alla natura, scoprendo le innumerevoli creature, insetti e piante che la popolano. Vi è qui un forte riferimento ad un certo tipo di letteratura e animazione cinematografica degli anni Novanta in cui le scene sessuali venivano rappresentate visivamente attraverso immagini floreali, come fiori che appassivano o perdevano un petalo. L’ambiente diventa un personaggio la cui voce è la musica realizzata da John Adams, al suo primo lavoro come compositore per il cinema. La trama è esile e anzi già vista, interessante il simbolismo usato dal regista e l’attenzione per l’ambiente, ma purtroppo il ritmo troppo lento inficia la pellicola, rendendola un po’ ostica.

La frase: "Felice’ non si dice perché è una parola che immalinconisce".

Federica Di Bartolo

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