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In nome di mia figlia

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Rosanna Donato01 febbraio 2016Voto: 7.0
 

  • Foto dal film In nome di mia figlia
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Daniel Auteui, visto recentemente al cinema nella pellicola Le confessioni, è il protagonista assoluto del film drammatico “In nome di mia figlia”. Il progetto, tratto da una storia realmente accaduta, è diretto da Vincent Garenq e interpretato - tra gli altri - da Sebastian Koch e Marie-Josée Croze. La vicenda è ambientata nel 1982 e incentrata sulla morte di Kalinka, la figlia di André Bamberski. La ragazza muore misteriosamente durante una vacanza in Germania con sua madre e il suo patrigno, Dieter Krombach. André è convinto che non si sia trattato di un incidente e inizia a indagare per trovare la verità e ottenere giustizia. Gli esiti della prima autopsia sembrano confermare i suoi sospetti e lo spingono ad accusare di omicidio un uomo molto vicino a ‘loro’. André cerca in ogni modo di farlo incriminare in Germania e far aprire in Francia un’inchiesta giudiziaria su quanto accaduto, ma non sarà così facile ottenere risultati soddisfacenti per lui. Il lungo e interminabile percorso intrapreso, durato ben 30 anni, lo accompagnerà per gran parte della sua vita, facendogli perdere tutto ciò che ha di più caro.

Molto ben scritto e girato, con inquadrature in primo piano in grado di esprimere tutto il malessere interiore del protagonista, il film è un piccolo gioiellino del genere crime - drama. Ciò è dovuto soprattutto all’interpretazione dell’attore principale, che ha dimostrato ancora una volta il suo immenso talento, visibile soprattutto dalla mimica facciale e dall’intensità degli sguardi.
Se inizialmente la pellicola risulta lenta e poco comprensibile, in quanto passa da una situazione ad un’altra in poco tempo, successivamente tutto sembra prendere forma. Le scene che si susseguono hanno un andamento molto lento - probabilmente su questo ha inciso anche il ritmo della narrazione e i dialoghi - forse troppo visto il genere di appartenenza del progetto. Ciò non deve essere considerato a tutti gli effetti un male, perché alcune storie - per essere raccontate come si deve e far emergere la drammaticità della vicenda - hanno bisogno di puntare su momenti intensi e ricchi di pathos, che non hanno certo esigenza di essere mostrati con un ritmo incalzante. Certo, un po' di equilibrio non avrebbe guastato il risultato finale, ma sono scelte.

A mancare del tutto è quella dose di suspance che ci si aspetta da un film basato sulla ricerca della verità, di quella giustizia che sembra non arrivare mai. Fin dall’inizio, invece, si capisce chi sia il reale colpevole del presunto omicidio e i vari fatti che emergono nel corso della narrazione non sorprendono più di tanto, ma portano lo spettatore a chiedersi se André riuscirà un giorno a trovare la pace interiore e a mantenere la promessa fatta a Kalinka prima che morisse: arrivare al traguardo senza mai arrendersi. Daniel Auteui interpreta un uomo distrutto dal dolore, ma allo stesso tempo determinato e pronto a tutto pur di ottenere risultati importanti. Lui vuole sapere, vuole capire cosa non ha funzionato e per quale motivo sua figlia, una promettente quattordicenne, abbia perso la vita. Sicuro di sé e poco disponibile a cambiare idea sulle sue condizioni: questo è il ruolo ricoperto dall’attore, che è riuscito a rendere il suo personaggio - caratterizzato da un amore estremo per la propria figlia (e quale genitore non lo sarebbe?) - più che credibile. L’uomo è così deciso a far arrestare il responsabile dell’omicidio da non darsi pace e risultare agli occhi dello spettatore un pazzo paranoico, aspetto che Auteui ha messo in luce molto abilmente.

Sono molti i temi affrontati nella pellicola, ma tra i tanti evidenziati è giusto soffermarsi sull’amore incondizionato che un genitore prova per i propri figli. Un amore che non ha bisogno di parole e che ti rende fragile, ma anche motivato a lottare per quel sentimento.
Un amore, più forte di quello esistente tra coniugi, così profondo che spesso - non per volere proprio - porta a compiere degli errori madornali e a perdere tutto ciò che fa da cornice o che dà un senso alla nostra vita. Importante è sicuramente anche la volontà di evidenziare quanto un uomo, rimasto solo contro tutti, con l’impegno, la dedizione e il sacrificio possa raggiungere un traguardo tanto desiderato.
Il lungometraggio, che uscirà nelle sale italiane il 9 giugno 2016, è consigliabile ad un pubblico adulto e, purtroppo, pecca di prevedibilità, soprattutto nelle scene finali.


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