I'm a cyborg, but that's ok
Dopo il giustamente acclamato "Lady Vendetta" Park Chan-Wook torna dietro alla macchina da presa per raccontare una storia completamente diversa dalla sua trilogia della vendetta che l'ha reso famoso anche in occidente. Si tratta di un film molto poetico, ma anche animato da qualcosa di più di una semplice vena di follia. Lo stile, lo si nota fin dai geniali titoli di testa, è ironico e divertito e allo stesso tempo straniante nell'introdurci con mano sicura in un mondo in cui nulla è quel che sembra. "I'm a cyborg but that's ok" è infatti ambientato in una casa di cura per malattie mentali, ed è sintomatico che il primo tour della struttura ci venga regalato da una donna che non è altri che una paziente mitomane e di cui evidentemente non ci si può fidare, così come i vari medici del resto non sono personaggi affidabili fino in fondo.

La vicenda principale è - ancora più insolitamente per Park - una storia d'amore tra una ragazza che crede di essere un Cyborg (e quindi pensa di non aver bisogno di mangiare ma solo di batterie) ed un giovanotto che è cleptomane e maniaco della pulizia dentale perché teme di sparire completamente dalla faccia della terra. L'incontro improbabile tra i due avrà effetti esplosivi nell'immediato e in seguito insperabilmente terapeutici per entrambi. Il regista non ha alcun timore di gettare lo spettatore nella realtà distorta dei due protagonisti e dei loro comprimari. Il suo lungometraggio, in effetti, altro non è se non un lungo viaggio nel passato e nella psiche dei due protagonisti, alla luce del loro vissuto ospedaliero, in mezzo ai tanti colorati pazienti che coralmente costruiscono un vero e proprio inno alla diversità di percezione.

Alcuni troveranno "I'm a cyborg but that's ok" un film un pò lento in alcuni punti, eppure anche nelle parti più oniriche e potenzialmente complesse nella decodifica è alla fin fine di una chiarezza cristallina e tutte le ossessioni e le manie della piccola cyborg trovano una lucida spiegazione ed una risoluzione. In alcuni punti ci sono delle straordinarie esplosioni di violenza robotica che faranno venire nitidamente alla memoria i precedenti film di Park Chan-Wook. Tali momenti che appartengono unicamente alla coscienza del cyborg sono non a caso diretti sempre e soltanto verso chi dovrebbe "curare" e mai verso i pazienti compagni di sventura. Uno degli aspetti più straordinari dell'arte di questo grande cineasta consiste nel colpire il cuore e la mente in misura eguale, pur senza scadere nel cerebralismo o nel sentimentalismo. Una gioia per gli occhi, di fronte ad un universo filmico sempre più timido nei confronti della sperimentazione a livello visuale e contenutistico.

La frase: "La simpatia è quella sensazione che mi impedisce di uccidere tutti quelli che dovrei fare fuori".

Mauro Corso

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