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Il sesso aggiunto
Con il volto del Giuseppe Zeno visto prevalentemente in televisione ("L’onore e il rispetto" e "Gente di mare" nel curriculum), Alan è un tossicodipendente che vive la fragilità in balia di un’esistenza fatta di contraddizioni, mentre la percezione di aver smarrito se stesso e il suo inconscio desiderio di ritrovarsi lo portano a compiere un percorso di auto-psicanalisi, fino a sentire pulsare, dopo tanto, l’amore che è in ciascuno di noi.
Ma, sebbene l’argomento cardine sia la dipendenza da eroina, il primo lungometraggio cinematografico a firma del napoletano classe 1958 Francesco Antonio Castaldo – proveniente dal teatro, i documentari e la pubblicità – ricorda sotto certi aspetti più il dimenticato "Atto di dolore" (1991) di Pasquale Squitieri che gli ultranoti "Christiana F. - Noi ragazzi dello zoo di Berlino" (1981) e "Amore tossico" (1983), rispettivamente diretti da Uli Edel e Claudio Caligari.
Pellicole al cui confronto risulta decisamente meno crudo ed esplicito nell’inscenare i tentativi, da parte del protagonista, di uscire da una vera e propria forma di schiavitù che sembra coinvolgere anche diversi suoi conoscenti, giovani e non solo.
Ed è di sicuro la Myriam Catania di "C’è chi dice no" (2011) il nome più conosciuto di un cast comprendente la Valentina D’Agostino della serie tv "Raccontami", il Lino Guanciale de "Il gioiellino" (2011) e il veterano Paco Reconti, tutti al servizio di un’operazione che, seppur apprezzabile per quanto riguarda la dignitosa confezione tecnica ottenuta lontano dalle major, comincia a lasciar emergere non pochi difetti già a partire dalla discutibile scelta di far recitare in corretto italiano gli sbandati personaggi romani.
Difetti tra cui non possiamo fare a meno di annoverare una recitazione spesso non convincente e l’incapacità di trasferire su schermo, in maniera efficace, i profondi e significativi discorsi esistenziali sfoggiati nella narrazione, i quali funzionavano di sicuro sulla carta ed avrebbero avuto tutt’altro impatto sullo spettatore se sfruttati in una rappresentazione teatrale.
Fino ad un’inaspettata (anche se qualcuno potrebbe intuirla con largo anticipo) rivelazione finale destinata sì a spingere alla riflessione, ma posta in coda ad un elaborato decisamente fiacco e soporifero, tanto più che viene tirato un po’ troppo per le lunghe (siamo sulle due ore circa).
La frase: "Comunque sia, i tempi sono cambiati, di tossici veri ne siete rimasti pochi".
Francesco Lomuscio
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