Il seme della discordia
Pappi Corsicato, regista napoletano, già noto alle platee festivaliere per lavori come "I buchi neri" e "Chimera", dopo 7 anni di assenza, torna alla regia con "Il seme della discordia", pellicola presentata in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2008.
Questo nuovo progetto, seppur a tratti divertente e ironico, risulta alla fine però eccessivamente kitsch e dannatamente indigesto.
Il soggetto, liberamente ispirato al racconto di Heinrich Von Kleist, "La marchesa von O", fin dalle prime battute assume infatti tratti volutamente farseschi, che seppur fortemente autoriali e sperimentativi, non riescono a dare a quest’opera quel coinvolgimento narrativo, che da un regista come Corsicato, ci si doveva, e poteva, attendere.
Il cast poi, forse per desideri di sceneggiatura, ci consegna recitazioni disincantate, che dopo pochi minuti, sembrano insopportabili, nonostante gli argomenti di fondo non lo siano affatto.
Già perché il film, girato in sole sei settimane, seppur semplice e lineare, va a toccare tematiche per nulla banali, come la famiglia e la crisi di coppia, o come l’aborto e la sterilità, cercando di analizzarli attraverso la sfera femminile che ruota attorno alla protagonista Veronica, ma commettendo l’errore di farlo con uno sguardo assai "troppo" divertito e smaliziato.
Gli attori, esteticamente tutti all’altezza, da Caterina Murino (primo vero film "italiano") e Martina Stella (più che mai spenta), da Michele Venitucci ("neo" poliziotto) ad Alessandro Gassman, marito (in)fedele, al di là di questo, non comunicano molto, se non una "sofferenza" scenica prolungata, di cui sinceramente avremmo voluto farne a meno.
A poco serve la bravura di Valeria Fabrizi e Isabella Ferrari, che non riesce a risollevare le sorti, di un complesso recitativo, disarticolato e malamente impostato.
Una delle poche cose che davvero incuriosisce e di cui bisogna sottolinearne l’efficacia e l’originalità, è quella dell’elemento temporale.
Nonostante l’ambientazione sia contemporanea, la pellicola, per buona parte, sembra essere girata negli anni ’60: abiti, musiche, atmosfere, richiamano a quel periodo, quasi in una sorta di salto nel passato, in un universo parallelo, di cui solo il regista conosce l’ingresso.
Non si può negare che il tentativo sia stato ambizioso, anche se questa volta bisogna ammetterlo non c’è proprio trippa per gatti!

La frase: "Le cose capitano all’improvviso senza sapere perché".

Andrea Giordano

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