Il nastro bianco
Siamo alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, in un piccolo villaggio protestante della Germania del nord. Attraverso la voce narrante, ormai anziana, del maestro, viviamo le strane vicende che lì vi accaddero, addentrandoci nelle vite quotidiane delle famiglie del pastore, del barone, del medico e di alcuni contadini. Due poteri forti, quello del barone e del pastore, quest’ultimo rigido vessatore "spirituale" della comunità e dei propri figli, cui impone di indossare sempre, come monito alla purezza, un nastro bianco.
Finché nel villaggio iniziano ad accadere strani fatti: il medico cade da cavallo e si scopre una corda tesa tra due alberi; muore la moglie di un contadino cadendo da un soppalco, e così via.
Non si sorride mai nel film cupo e premonitore di Michael Haneke: un bianco e nero privato quasi di ombre, fotografato da Christian Berger, un’assenza di colonna sonora, un uso continuo della camera fissa, accompagnano la lunga e dilatata visione di questo autentico villaggio dei dannati.
L’austriaco Haneke dà allo spettatore la possibilità di gettare uno sguardo su alcune anime nere in cui i semi dell’assolutismo erano già stati piantati. Senza giudicare, senza commentare, la sua è una cronaca che mette i brividi, con momenti di altissima poesia (quale, per esempio, la scena in cui un bambino fa domande alla sua tata sul significato della morte) sempre raffinata e gelida, quasi compiaciuta, che lascia allo spettatore un malessere profondo e il compito di trarre le sue conclusioni.
Già spiazzante e crudele in Niente da nascondere con Daniel Auteuil, e nel remake hollywoodiano del suo stesso film, Funny Games, Haneke continua a non credere nella bontà dell’uomo e a raccontarne la colpa, ma conosce l’importanza dei buoni insegnamenti e del pericolo dei principi rigidi e male interpretati, origine di ogni intolleranza e assolutismo.
Gli occhi che guardano e introiettano gli insegnamenti sono quelli dei bambini che, nastro bianco o meno, hanno già perso la loro innocenza, grazie all’eredità corrotta dei propri genitori o mentori. Per Haneke il futuro della Germania nazista è già tutto lì, in quei principi ossessivi di disciplina e candore che vanno alla deriva nella loro applicazione, in "castighi" e punizioni comminati in nome della purezza, con modalità quasi rituali, in una mimesi dell’universo adulto che è fatto di soprusi e violenze verso chi è più debole, bambini, donne e anziani.
Haneke mette in scena il passato e lo decolora, lo rende asettico, privo volutamente di emozioni, ma il suo Nastro bianco è, proprio per quel gelo che trasmette, un monito profondamente morale, che vale per oggi e per ogni tempo.

La frase:
- "Perché si muore?"
- "Perché sei vecchio o malato"
- "E la donna che è morta?"
- "No, lì si è trattato di un incidente"
- "Un incidente?"
- "Sì, quando cadi e ti fai molto male"

Donata Ferrario

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