Il capitale umano
Notte. Un ciclista cade in un fossato accanto ad una strada di provincia. E’ in coma. Quale auto l’ha toccato? Chi la guidava? E’ questo il prologo del nuovo film di Paolo Virzì, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo dello statunitense Stephen Amidon pubblicato per la prima volta circa sei anni fa. Mostrato l’incidente, ecco che il tempo si riavvolge a sei mesi prima quando un papà accompagna la figlia da poco maggiorenne presso la casa del suo presunto ragazzo, il rampollo di un ricco finanziere della Brianza. I due genitori si conoscono, fanno amicizia, il primo chiede al secondo se è vero che gestisce un fondo di investimento dai tassi eccezionali. Ci vuole entrare, costi quel che costi...
Dopo un trittico di commedie capaci di raccontare la società italiana contemporanea e del recente passato da più punti di vista, (“Tutta la vita davanti”, “La prima cosa bella” e “Tutti i santi giorni”), Virzì vira verso i toni leggermente più cupi di “La bella vita” realizzando un thriller sui generis, una storia corale in cui la ricerca del colpevole è solo un pretesto per entrare all’interno di due famiglie per mostrarne ambizioni e miserie. L’intero canovaccio gira intorno al concetto di responsabilità: dietro ad ogni storia andata male chi deve assumersi le proprie? Un padre che non ha bene educato il figlio, una “casalinga disperata” che ha sacrificato i propri sogni in nome di un tranquillo benessere da mantenuta, uno zio che invece di seguire il nipote che gli è stato affidato passa le giornate a fumare marijuana, un piccolo imprenditore che accecato dalla voglia di entrare nella buona società sperpera i propri risparmi mentre la compagna aspetta un altro figlio: tutti i personaggi di “Il capitale umano” vivono il proprio dramma personale scaricando sugli altri le conseguenze delle proprie scelte errate, sia che si tratti di un investimento finanziario, che di una detenzione illegale di stupefacenti che dell’apertura, poi negata, di un teatro. A pagarne le conseguenze non sono mai loro, ma solo gli ultimi nella scala sociale, un immigrato e un orfano. Sono loro il capitale umano del titolo, sono loro che dovranno, loro malgrado, sacrificarsi per tutti. E’ vero, c’è anche un pizzico di speranza: è quella rappresentata dalla figlia amorevole del personaggio interpretato da Fabrizio Bentivoglio, ma il quadro totale che ne esce non può che lasciare un retrogusto di malinconia. Del resto, quando di questi tempi si parla di Italia, è difficile sfuggire a questa sensazione.
La frase:
"Avete scommesso sulla rovina di questo paese e avete vinto".
a cura di Andrea D’Addio
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