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Io sono leggenda
Il romanzo che dà il titolo al film, scritto dal mitico Richard Matheson e circolato dalle nostre parti anche con il titolo “I vampiri”, risale al 1954, ma il primo a rimanere solo sulla Terra all’interno del grande schermo, ricercato da malvagi esseri forniti di fattezze zombesche, fu l’indimenticabile Vincent Price nello splendido “L’ultimo uomo della Terra”, il quale, firmato dieci anni dopo da Ubaldo Ragona e Sidney Salkow (non accreditato nell’edizione italiana), finì perfino per ispirare il capolavoro romeriano “La notte dei morti viventi”.
Se non prendiamo in considerazione “28 giorni dopo”, diretto nel 2003 da Danny Boyle tenendo evidentemente conto delle idee alla base dell’opera di Matheson, possiamo tranquillamente affermare che sia stato Boris Sagal l’ultimo regista ad occuparsi di una trasposizione cinematografica ufficiale con il riuscito “1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra”, interpretato nel 1971 da Charlton Heston e dal cui script sembrano aver attinto gli sceneggiatori Mark Protosevich (“Poseidon”) e Akiva Goldsman (“Il codice Da Vinci”) al fine di ottenere il copione su cui costruire questo “Io sono leggenda”, diretto da quel Francis Lawrence già responsabile qualche tempo fa del non proprio memorabile “Constantine”.
Ed è l’ex “principe di Bel Air” Will Smith a rimpiazzare Price e Heston nei panni del brillante scienziato immune all’incurabile virus che ha ridotto New York City, e probabilmente l’intero globo, ad una metropoli fantasma popolata soltanto nell’ombra dagli aggressivi infetti.
Infetti più vicini nell’iconografia alle demoniache creature del citato comic-movie interpretato da Keanu Reeves che agli pseudo-morti viventi di Ragona-Salkow ed ai pallidi individui vampireschi di Sagal, tanto da essere rappresentati privi del dono della parola e dotati esclusivamente di un animalesco istinto assassino, impegnati a far balzare lo spettatore dalla poltrona tramite improvvise entrate in scena volte a spezzare le lunghe attese costruite su lenti ritmi di narrazione.
Ma, al di là del fatto che la scelta di un protagonista di colore tenda ad invogliare maggiormente nello studio di un certo sottotesto relativo al forte legame tra intolleranza e violenza (con tanto di citazione da Bob Marley), Lawrence non sembra riuscire nell’impresa di rievocare quel senso di desolazione umana efficacemente enfatizzato dalle due precedenti versioni su pellicola, delle quali non ricalca neppure l’inaspettato epilogo privo di speranza, prestando più attenzione alla tipica lussuosa confezione da blockbuster del terzo millennio, i cui meriti vanno riconosciuti soprattutto alla bella fotografia di Andrew Lesnie (la trilogia “Il Signore degli Anelli”) ed alle curatissime scenografie di Naomi Shohan (“Training day”).
Riconfermandosi quindi abile esteta di accattivanti immagini che finiscono però con il rivelarsi fredde, prive di quel “calore” necessario per accarezzare il cuore dello spettatore al fine di suscitarvi le emozioni dei migliori fotogrammi in movimento.
La frase: "Le persone che cercano di far diventare peggiore questo mondo non si concedono un giorno libero".
Francesco Lomuscio
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