Hostel
Il nome di Eli Roth potrà dire ai più poco o niente, ma i seguaci irriducibili dello splatter su celluloide sanno benissimo che l'uomo di cui stiamo parlando è colui che, dopo aver interpretato, tra gli altri, i trashissimi prodotti "Troma Terror firmer" (1999) e "The toxic avenger 4: Citizen Toxie" (2000), è passato dietro la macchina da presa, nel 2002, per dedicarsi a "Cabin fever", horror incentrato su cinque ragazzi in vacanza tra i boschi, alle prese con un misterioso e pericoloso virus.
Ora, mentre Roth annuncia tra i suoi progetti futuri "The bad seed", remake de "Il giglio nero" (1956) di Mervyn LeRoy, arriva nelle sale cinematografiche italiane la sua ultima fatica, "Hostel", che si avvale della presenza, in qualità di produttori esecutivi, di Sua Maestà Quentin Tarantino (nel film, tra l'altro, vediamo in tv una sequenza del suo Pulp fiction), Scott Spiegel, regista del truculento "Intruder-L'intruso" (alias Terrore senza volto) e "Dal tramonto all'alba 2", e Boaz Yakin, sceneggiatore di quest'ultimo.
Ed il lungometraggio, interpretato da Jay Hernandez ("Torque-Circuiti di fuoco"), Derek Richardson ("Scemo e più scemo-Inizio così") e l'esordiente su grande schermo Eythor Gudjonsson, dopo un'inquietante introduzione, apre nello stile dei vari "American pie" e simili, mettendo in scena Paxton e Josh, compagni americani di college che, in viaggio in Europa, fanno conoscenza con l'islandese Oli, il quale li conduce ad un insolito ostello della gioventù in una sperduta città slovacca, popolato da ragazze belle e disponibili, come Natalya e Svetlana. Ma, come vogliono le regole che hanno fatto la storia del filone slasher, tutti coloro che si dedicano alla ricerca dello sballo totale, tra droghe varie e sesso sfrenato, devono necessariamente, poi, trovare la morte; puntualmente, infatti, dopo circa metà pellicola tranquillamente trascorsa alternando serate in discoteca ed una buona dose di eccitanti fanciulle poco vestite, si passa al lato strettamente orrorifico, mentre ci rendiamo già conto del fatto che la bella fotografia di Milan Chadima contribuisce in maniera fondamentale ad enfatizzare una grigia atmosfera, lasciando raramente splendere il sole nel cielo. E Roth, che ora non sembra ispirarsi più, come per il suo film d'esordio, ai classici del genere degli Anni Settanta, ma dichiara di essere stato influenzato dai nuovi autori horror orientali, tanto da riservare un cammeo al pluriosannato regista Takashi Miike (responsabile, tra l'altro, di "Ichi the killer" e "The call-Non rispondere"), genera intelligentemente un ideale crescendo emotivo che ci conduce in maniera progressiva all'interno di un avvolgente vortice di violenza. Dapprima, infatti, sfrutta soprattutto le soggettive, inquietandoci, attraverso gli occhi delle future vittime, con le immagini di strumenti chirurgici ed armi bianche a disposizione del macellaio omicida di turno; e cela perfino i dettagli gore, grazie al ricorso ad analogie di montaggio, disturbando lo spettatore unicamente tramite gli effetti sonori e le disperate urla dei poveri disgraziati. Il tutto, però, per sfociare infine in un sanguinolento ed insostenibile tripudio di amputazioni e sadiche torture, tirando in ballo trapani, forbici e motoseghe, con una strizzatina d'occhio al "Non aprite quella porta" del 2003 (prodotto dagli stessi Mike Fleiss e Chris Briggs), che testimoniano ancora oggi le notevoli qualità dei due effettisti Greg Nicotero e Howard Berger, cui dobbiamo tutto il meglio dello splatter su celluloide degli ultimi vent'anni, grazie anche alla KNB Efx Group, fondata insieme al collega Robert Kurtzman. Un autentico gioiellino da non mancare, quindi, appena venato d'ironia, per i fan dell'horror ed i nostalgici di un certo, coraggioso cinema di genere che fu, shockante quanto vi pare, ma dopotutto innocuo. Mentre i soliti fruitori falsamente benpensanti, sempre pronti ad incriminare la violenza cinematografica, farebbero meglio a preoccuparsi del fatto che l'idea per il film è venuta al regista dopo aver scoperto, insieme all'amico web-master Harry Knowless, un sito internet in cui si parlava di un vergognoso commercio, da qualche parte in Tailandia, che faceva affari sfruttando il brivido umano dell'assassinio. E stiamo parlando, purtroppo, di spaventosa realtà.

La frase: "Un chirurgo tiene la vita nelle mani".

Francesco Lomuscio

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