Hollywoodland
George Reeves è un attore che cerca di avere successo nel Cinema, la sua carriera lo porta ad acquisire una fama immensa nei panni di Superman nell'omonima serie trasmessa dalla TV americana negli anni '50, e ormai diventata un cult. La morte improvvisa di Reeves, cciso da un colpo di arma da fuoco alla testa, è uno dei misteri insoluti di Hollywood: suicida o ucciso per i giochi di potere del mondo del Cinema? Louis Simo, un detective in cerca di realizzazione professionale, indagherà sulla vicenda.

Un noir o una ricerca sull'identità dell'uomo? È questa la domanda che ci si pone guardando Hollywoodland, opera prima di Allen Coulter, già regista televisivo, (lo abbiamo apprezzato in alcune puntate de "Th Sopranos" e "Sex and the City"), ma che sapientemente ha saputo fare il passaggio dal piccolo al grande schermo. La risposta non è facile, ma è certo che il film affascina. Colpisce la storia del protagonista, tanto amara quanto la vita stessa delle star, sottomesse al capriccio di Studios e spettatori ed estirpati della propria identità in virtù di un unico ruolo di successo. Come Marylin o Elvis, anche Reeves è rimasto schiacciato dalla fama, e come loro la sua morte è diventata quasi più interessante dei ruoli che interpretava. Reeves vestiva i panni di Superman e quando muore è della morte del supereroe che i giornali hanno parlato, e per lui milioni di bambini hanno conosciuto la vera essenza del lutto. Ci si immedesima nel tentativo di cercare un posto nel mondo che ci circonda, non solo dell'attore ma anche del detective che indaga sulla sua morte. Due storie vissute in quasi dieci anni di differenza, ma con un filo conduttore comune, rapportabile anche alla realtà attuale. E non a caso Ben Affleck, ingrassato per l'occasione, è riuscito a rendere al meglio più il lato umano dell'attore che non quello da star.

La bravura di Coulter si può apprezzare non solo per aver saputo sapientemente far rivivere gli anni d'oro del Cinema, il Glamour dell'epoca in cui gli Studios e il grande schermo affascinavano e incantavano i comuni mortali, ma anche il cambiamento del decennio successivo, con la venuta della televisione, causa del declino del bel mondo dorato, e della fine di un epoca. Geniale è l'idea del Flashback sui due periodi, entrambi passati, con le storie dei personaggi che si intrecciano e si separano, divise da solo pochi anni ma da modi di vivere completamente diversi: l'elegante formalismo e il garbo prima, e la cacofonia di colori e rumori poi, riconoscibili non solo dalle scenografie e dagli stessi movimenti degli attori, dai colori...

Un ovazione per Diane Lane è quantomeno doverosa: l'attrice sembra uscita da una stampa dell'epoca e niente avrebbe da invidiare alle dive che stregavano le sale in quegli anni…è perfetta nell'impersonificare il ruolo della moglie del produttore, donna moderna e fuori dalle righe, che ben sa come sfruttare le fortune del marito.
Volendo analizzare più a fondo il film, Hollywood, non è altro che l'immagine di se stessa, nascosta dietro una facciata di sorrisi, sfarzo e perfezione rasentata, c'è il lato tragico, vuoto e a volte deprimente di vite in cerca di qualcosa che appaia ma che poi si dimostra solo finzione.

La frase: "Si è sparato in testa con una Luger... la pistola dei nazisti!".

Monica Cabras

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